di Gianfranco Amato*
Stiamo attraversando uno dei tornanti più pericolosi della storia democratica del nostro Paese. Il clima è davvero pesante. Ed è per questo che io sarò in Piazza San Giovanni a Roma il prossimo 20 giugno 2015. Sta per essere messa in campo una batteria di provvedimenti normativi liberticidi e illiberali che rischiano di completare una pericolosa rivoluzione antropologica. Come non pensare, ad esempio, al disegno di legge Scalfarotto contro l’omofobia, che per la prima volta nella storia del nostro ordinamento giuridico pretende di introdurre un reato – il reato di “omofobia” appunto – senza definirne i presupposti giuridici. Nessuna legge in Italia, oggi, definisce il concetto di omofobia. E nessun magistrato in nessun provvedimento, finora, ha mai definito cosa sia l’omofobia. Il rischio è che la definizione di questo concetto verrà rimessa alla discrezionalità del singolo giudice, secondo la sua personale sensibilità e la sua personale visione del mondo.
Ma questo è tipico dei sistemi totalitari, perché in uno Stato di diritto il cittadino deve sempre sapere preventivamente quali sono le conseguenze del suo comportamento, soprattutto se si tratta di conseguenze di carattere penale. Altrimenti siamo al famigerato reato di “attività antisovietiche” dell’ex Urss, crimine del tutto indefinito che serviva al regime come arma per combattere gli oppositori politici. Come non pensare, ad esempio, al disegno di legge Cirinnà, che di fatto introduce surrettiziamente il matrimonio tra persone dello stesso sesso in totale spregio a quanto espressamente sancito dall’art. 29 della Costituzione italiana, quello secondo cui «la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio».
Come non pensare, ad esempio, al disegno di legge Fedeli, che pretende di dare dignità normativa al pericoloso processo di indottrinamento scolastico che continua ad essere attuato in molte scuole italiane, in palese violazione di due diritti fondamentali riconosciuti, garantiti e tutelati dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Basta citare l’art. 18, che garantisce la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico sia in privato, i propri valori religiosi nell’educazione, e l’art. 26 nella parte in cui attribuisce ai genitori il diritto di priorità nella scelta di educazione da impartire ai propri figli. Forse merita di essere precisato il fatto che quest’ultimo principio sia stato espressamente proclamato solo nel 1948, ossia l’anno in cui è stata stipulata la Dichiarazione Universale; prima, infatti, trattandosi di un principio pacifico e scontato, esso non era contemplato in nessun documento giuridico nazionale o internazionale. Il punto è che dopo la seconda guerra mondiale, l’esperienza aveva tragicamente dimostrato quanto fosse stato devastante, distruttivo ed esiziale l’indottrinamento dei giovani attraverso il sistema di istruzione statale del Terzo Reich. Si è capito come l’istruzione pubblica in mano al potere possa diventare un’arma letale.
Non era un caso, del resto, che le due competenze dell’istruzione pubblica e della propaganda nella Germania nazista fossero in capo a un unico ministero, il Reichsministerium für Volksaufklärung und Propaganda. E non è un caso che dal 13 marzo 1933 fino alla fine del Terzo Reich, il ministro tedesco dell’Istruzione Pubblica fosse un tale di nome Joseph Goebbels. A questo riguardo giova ricordare il giudizio duro e implacabile dato dal romano Pontefice, papa Francesco, pur tanto amato da una larga parte dell’intellighencija politically correct, l’11 aprile 2014, quando, in occasione del discorso tenuto ai rappresentanti dell’Ufficio Internazionale Cattolico dell’Infanzia (Bice), ha affermato che «occorre sostenere il diritto dei genitori all’educazione dei propri figli, e rifiutare ogni tipo di sperimentazione educativa sui bambini e giovani, usati come cavie da laboratorio, in scuole che somigliano sempre di più a campi di rieducazione e che ricordano gli orrori della manipolazione educativa già vissuta nelle grandi dittature genocide del secolo XX, oggi sostitute dalla dittatura del “pensiero unico”».
Nel suo viaggio di ritorno dalle Filippine, il 19 gennaio 2015, lo stesso Papa Francesco, rispondendo a una domanda di Jan-Christoph Kitzler, giornalista della radio tedesca Ard, è tornato ancora una volta a parlare della teoria gender definendola «una colonizzazione ideologica» identica a quella praticata attraverso l’indottrinamento della Gioventù Hitleriana durante gli anni bui del regime nazionalsocialista del Terzo Reich. Oggi ci ritroviamo nelle stesse condizioni di quel fosco periodo storico. Di fronte a questa nuova dittatura, denunciata con coraggio dal Santo Padre, ancora una volta si può reagire in due modi. Come fece il vescovo Clemens August von Galen che per il suo coraggio si meritò l’appellativo di “Leone di Münster”, il quale osò sfidare pubblicamente Hitler e il suo odioso regime – denunciando, tra l’altro, proprio la violazione delle norme del Reichskonkordat sull’insegnamento scolastico –, oppure si può fare come fecero tanti vescovi tedeschi silenziosi e conniventi, che preferirono non affrontare pubblicamente temi divisivi e “scomodi”, e che insistettero nella necessità di un “dialogo costruttivo” con il potere (sappiamo come, poi, è andata a finire).
Di fronte a questa nuova forma di dittatura, come di fronte ad ogni dittatura, si può reagire in due soli modi: con la connivenza o con la resistenza. Domani, 20 giugno 2015, a Roma in Piazza San Giovanni, si realizzerà la prima forma collettiva e pubblica di resistenza pacifica alla tentazione totalitaria del potere di imporre per legge l’ideologia del “pensiero unico”, una visione del mondo assolutamente estranea alla cultura e alla civiltà del nostro popolo, e che semmai è frutto di un tentativo di colonizzazione da parte di potenti lobby e gruppi di potere che rispondono a logiche estranee agli interessi del popolo. Per questo domani sarò in Piazza San Giovanni.
*Presidente dei Giuristi per la Vita
fonte: lanuovabussolaquotidiana
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