Dire no alla mafia equivale a dire sì al Vangelo: i due mondi sono assolutamente incompatibili. Un concetto scontato solo in apparenza.
Linee-guida per contrastare la ‘ndrangheta: ecco quanto suggerito alle diocesi e alle parrocchie.
Una sfida ai comandamenti, tre in particolare
Il documento è stato redatto dai vescovi della Conferenza Episcopale Calabra, che vivono quotidianamente la realtà della ‘ndrangheta. La loro riflessione, però, si traduce in un “No ad ogni forma di mafia!”. Tale è, infatti, il titolo delle linee-guida pubblicate oggi ma datate 15 settembre, anniversario dell’uccisione del beato Pino Puglisi e sua memoria liturgica.
Secondo i presuli, le mafie si sostanziano innanzitutto intorno alla “trasgressione volontaria, violenta, calcolata, sprezzante, di almeno tre fondamentali comandamenti di Dio: il quinto (non ucciderai, che riguarda tutte le violenze fisiche, psichiche e spirituali); il settimo (non ruberai, che riguarda tutte le forme mafiose di furto e di illegittima sottrazione di un bene privato o comune); il decimo (non desiderare la roba d’altri, che comporta la conseguenza di togliere dal proprio cuore ogni altro desiderio di possesso che non sia Dio)”.
L’associazione mafiosa e le pratiche ad essa legate, contraddicono “formalmente la regola dell’amore di Dio e del prossimo, consegnata da Gesù Cristo nelle Beatitudini evangeliche”.
Pertanto, proseguono i vescovi, “l’incompatibilità assoluta tra mafie e Vangelo, tra tutte le forme di mafie e l’essere cristiano”. Atti “solamente esteriori di devozione, come il partecipare a processioni, pellegrinaggi, iniziative varie, o eventuali elargizioni generose e benefiche anche nei riguardi delle opere promosse dalla Chiesa, non assolvono nessuno dal peccato di mafia”.
Anche per questo, è giusto non accettare nessuna eventuale “pretestuosa generosità” da parte di affiliati alla criminalità organizzata: tali offerte “grondano sangue innocente”.
Una “struttura di peccato”
Scendendo nello specifico della realtà calabresi, “gli atteggiamenti e i comportamenti mafiosi spiccano in modo particolare per la loro virulenza, per la ferocia e l’efferatezza dei mali perpetrati, per il profondo radicamento in certi sostrati culturali o pseudoculturali, e per la gravità e l’estensione delle ricadute sociali ed economiche”.
Non è sufficiente, poi, una pura e semplice “strategia della legalità”, poiché non indaga nelle “cause profonde e reali sul piano etico”. Serve, allora, una “pratica coraggiosa e capillare della giustizia, della misericordia, della conversione e del perdono”. Bisogna, cioè, “indicare specifiche soluzioni ispirate dalla fede in Cristo e mosse dalle esigenze di servizio caritativo”.
In Calabria, poi, le mafie esistono e agiscono “nonostante ogni dichiarazione contraria o omertosa. Hanno volti, nomi, cognomi, appoggi, collaborazione, silenzi conniventi e, in tal modo, continuano a tessere una vera rete asfissiante”.
Le mafie sono, per definizione, “strutture di peccato” che “talvolta trovano terreno fertile perfino in certuni contesti religiosi”. Il risvolto più grave, al di là della prassi criminale in senso stretto, è la “mafiosità”, ovvero quell’insieme di tratti culturali che “ostacola il cammino della comunità cristiana”.
La Misericordia prima di tutto
I vescovi calabresi ribadiscono poi che “non c’è vera giustizia senza perdono” e che “resta possibile scardinare la forza della ’ndrangheta, convertendo i suoi adepti”.
Pur con tutte le “azioni ignominiose e immorali” che la criminalità organizzata porta con sé, il Vangelo “non esclude mai nessuno dalla possibilità di riabilitazione, mediante la riscoperta e la promozione del Sacramento della Penitenza-Riconciliazione, spesso sottovalutato da tanti fedeli”.
Nella seconda parte delle linee-guida, i vescovi suggeriscono prassi formative utili per le parrocchie assieme a “opportune forme di aiuti e di sostegno a favore dei a favore dei familiari innocenti di vittime della mafia”.
Con riferimento ai padrini e alle madrine nei sacramenti, “non basta esibire la fedina penale pulita, ma sono richieste onestà di vita e ritorno pieno alla vita di fede”. Parimenti, in occasione delle “feste religiose e patronali e le esequie di defunti mafiosi”, la Conferenza Episcopale Calabrese suggerisce un “preciso e attento discernimento” su dettagli come, ad esempio, i portatori delle statue dei santi durante le processioni.
Vietate, ovviamente, le soste di statue e icone “davanti alle abitazioni degli organizzatori o degli offerenti”, nonché l’“inchino” davanti alle abitazioni dei boss.
Un ultimo riferimento è alla responsabilità dei media al fine di non diffondere, né assecondare mai “notizie infondate e calunniose nei confronti delle persone oneste, né si emettano condanne o verdetti definitivi prima delle conclusioni della magistratura”.
Le diocesi, infine, sono esortate a istituire apposite commissioni per l’attuazione delle linee-guida, comprensiva di “uno sportello di advocacy, forte della presenza di professionisti volontari, al quale indirizzare le segnalazioni e le denunce di violazioni dei diritti, illegalità, soprusi, estorsioni, perché poi vengano attivati interventi giuridici e politiche di tutela ed accompagnamento delle persone più deboli”.
Luca Marcolivio