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Coronavirus: anche paesi ricchi a rischio carestia! Torniamo a Dio

Il 2020 è cominciato con eventi fortemente problematici, uno dopo l’altro. Culminati con la pandemia del coronavirus. 

Ora il rischio, non si sa quanto concreto, è quello di una vera crisi economica, dopo quella del 2008 che sta ancora facendo sentire i suoi effetti fino ad oggi. Probabilità però che, per quanto possa essere problematica per i popoli occidentali, sarebbe ancora più drammatica per i Paesi meno sviluppati, del terzo mondo. Che rischiano di dover affrontare vere e proprie carestia.

I numeri della fame nel mondo dopo il coronavirus

La Fao parla di un numero di persone vittime di “insicurezza alimentare” già pari a 250 milioni nel pianeta. Il coronavirus potrebbe aggravare ulteriormente la situazione già problematica di queste persone.

Ci sono scenari che da oggi a due o tre anni, riguardanti la sicurezza alimentare, che potrebbero diventare drammatici, scrive il Sole 24 ore. A differenza dei numerosi e molteplici piani di sviluppo sostenibili che erano stati implementati fino ad oggi, da numerosi organismi internazionali, per abbattere la fame nel mondo.

I piani sconvolti dal Coronavirus

Evidentemente non si era fatto i conti con la pandemia del coronavirus. Saranno, oltre alla crisi sanitaria, prima il lockdown, poi la finanza, a dare il colpo di grazia a intere aree del mondo già in forte difficoltà.

In molte famiglie delle nazioni meno sviluppate, la spesa utilizzata per il cibo rappresenta gran parte della propria economia domestica. Diversamente dai paesi più sviluppati, dove la spesa in cibo rappresenta solamente una piccola parte delle proprie uscite.

La sofferenza dei paesi più poveri rischia di crescere

Nei paesi più poveri, perciò, se le entrate economiche diminuiscono anche solo di poco, significa che si mangerà di meno. Con il rischio, durante le crisi economiche più pesanti, di finire in denutrizione.

photo web source: nonsprecare.it

I blocchi che soffriranno maggiormente la fame nei prossimi mesi, scrive il Sole 24 ore, sono Africa, America latina e India. Aree che avevano percentuali di rischi alimentari già alti prima del coronavirus. Zone del pianeta in cui, per effetto dei piani di contingentamento di beni alimentari attivati dai propri governi, rischiano vere e proprie “rivolte del pane”.

Lo spettro della carestia arriva fino agli Stati Uniti

Per fronteggiare questo rischio, alcune nazioni hanno incrementato le proprie scorse e si sono tolti dal commercio internazionale. Purtroppo però, se l’idea della fame e della carestia sembrava, in un mondo globalizzato dove la pubblicità invia continuamente messaggi illusori e interessati da logiche commerciali, una realtà lontano, ora ci si deve ampiamente ricredere.

Anche in un Paese come gli Stati Uniti, infatti, centro del commercio internazionale e patria di un sogno di libertà e ricchezza mai realmente compiuto per gran parte della popolazione, accade che sono in molti a rischiare di soffrire la fame.

photo web source: vistanet.it

Le cifre terribile della povertà negli Stati Uniti

Il venticinque per cento dei cittadini americani, infatti, durante la giornata ha rischiato negli ultimi periodi di dover saltare un pasto. Cifre, riportate dal Sole 24 ore, impressionanti. La disoccupazione infatti negli Stati Uniti riduce drammaticamente il potere d’acquisto delle famiglie. Se non c’è uno stipendio, non ci sono soldi e non c’è cibo. Visto che non c’è nemmeno lo Stato sociale che combatte queste carenze.

Le stime delle ultime settimane parlano di una disoccupazione che ruota attorno al 14 per cento. Alcuni report parlano del 16, ma di fatto i numeri reali potrebbero essere ben più alti, ma il ministero del lavoro cerca di essere il più cauto e ottimista possibile.

La rabbia che esplode nelle proteste passa anche per la fame

Tanti licenziati infatti finiscono facilmente fuori dalle statistiche, senza contare le persone che avevano un lavoro in nero e sono rimasti esclusi da un momento all’altro.

photo pixabay

Da qui si capisce il contesto in cui si originano le proteste di queste settimane. La rabbia per la morte di George Floyd, che ha portato un altissimo numero di persone in strada al grido di Black Lives Matter, fa il paio con un paese fortemente stressato, oltre che dalla crisi sanitaria, da quella economica.

La povertà che si fa pressante e gli aiuti che non arrivano

E dalla povertà che, facendosi sempre più pressante, rischia di togliere persino il cibo dalla tavola. Le istituzioni non riescono a fare fronte a queste problematiche, e il programma alimentare americano denominato Snap non riesce a raggiungere molti tra chi ne ha bisogno.

Gli aiuti promessi da Trump fanno fatica ad arrivare, e le banche del cibo fanno fatica a stare dietro a tutte le richieste. Considerata anche un’altra grande piaga: la crisi dell’agricoltura, messa in forte difficoltà dalle multinazionali di carne e di cereali e dalla loro ricerca di materia prima a un costo sempre più basso.

L’economia non è tutto. Serve tornare al Signore

Così anche la salute mentale dei contadini ne risente. Vere e proprie piaghe di dimensioni bibliche che sembrano abbattersi sul pianeta, e incredibilmente sulla nazione più potente che si era posta l’obiettivo di trascinare tutti verso un futuro radioso. Ma che evidentemente deve fare i conti con molti altri imprevisti.

Che forse ci ricorderanno che, nella vita, l’economia non è tutto. Serve ritornare alla fede nel Signore, l’unico che può indicare la strada.

Giovanni Bernardi

fonte: ilsole24ore.com

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