Il Coronavirus può vivere nell’aria e sulle superfici per un tempo che va da poche ore a diversi giorni. Ma non dobbiamo preoccuparci, ecco come difenderci.
Lo afferma uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine e diffuso dalla Johns Hopkins University, università statunitense che sta monitorando attivamente la pandemia di Covid-19 rilasciando informazioni rivolte specialmente alla salute dei propri studenti e dipendenti.
Lo studio americano
Lo studio avrebbe scoperto che il virus rimane vivo fino a 72 ore su superfici di plastica, 48 ore sull’acciaio inossidabile, 24 ore sul cartone e 4 ore sul rame. Si afferma anche che può essere rilevato nell’aria per un tempo di circa tre ore. Anche se la quantità di virus che rimane è molto bassa, di una percentuale pari allo 0,1% del materiale virale iniziale. Una quantità che rende l’infezione teoricamente possibile, ma praticamente impossibile.
“Mentre lo studio del New England Journal of Medicine ha scoperto che il virus Covid può rimanere nell’aria per un tempo di 3 ore, in natura, le goccioline respiratorie affondano a terra molto più velocemente”, ha spiegato sul sito ufficiale dell’università Carolyn Machamer, docente di biologia cellulare il cui laboratorio presso la Johns Hopkins School of Medicine, che da anni studia la biologia dei Coronavirus.
Le caratteristiche del virus e come combatterlo
L’università americana ha poi diffuso varie linee guida per quanto riguarda gli accorgimenti necessari per evitare il contagio. Si spiega infatti che il modo migliore per proteggersi dal virus è rispettando tutto quello che abbiamo imparato a conoscere fino ad ora, e che ci è stato indicato da medici e autorità. “Abbiamo maggiore probabilità di prendere l’infezione attraverso l’aria se ci si trova accanto a qualcuno infetto, piuttosto che per mezzo di una superficie”, ha infatti specificato la studiosa.
“La pulizia delle superfici con disinfettante o sapone è molto efficace, perché una volta che lo strato superficiale oleoso del virus è stato disinfettato, non è possibile che questo infetti una cellula ospite”, ha concluso. Spiegando che “tuttavia, non si è mai troppo cauti“, visto che “siamo di fronte a una situazione mai accaduta prima”.
Giovanni Bernardi
Fonte: hub.jhu.edu
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