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Opinioni e Approfondimenti

Coronavirus: l’opera di carità della Chiesa, un argine all’illegalità

Continua l’opera della Conferenza Episcopale Italiana nel dare manforte alle strutture ospedaliere impegnate nella lotta al coronavirus.

Continua l’opera silenziosa della Chiesa di solidarietà nella lotta al coronavirus – sourceweb

In molte realtà ci si è riorganizzati radicalmente per fronteggiare il coronavirus. L’ultima donazione è di 2 milioni e 400mila euro provenienti dall’otto per mille, verso cinque realtà che da nord a sud stanno combattendo duramente contro il contagio. Soldi che si aggiungono a tutte le altre donazioni fatte dall’inizio dell’emergenza, le ultime dei quali sono di 6 milioni di euro verso altri sette presidi sanitari e socio-sanitari cattolici.

Continua l’opera silenziosa e concreta della Chiesa

Tra i soggetti che hanno ricevuto quest’ultimo contributo c’è la Fondazione Papa Paolo VI di Pescara, in cui l’Arcidiocesi ha aperte tre case di riposo in cui possono trovare posti centocinquanta persone preservate dal virus, 50 malati terminali e 30 persone diversamente abili in un apposito centro residenziale.

Poi c’è la Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, a Foggia, dove sono disponibili nel reparto dedicato al coronavirus 123 posti letto e 18 posti letto di terapia intensiva, estensibili in caso di necessità. Altra realtà a cui sono stati destinati i fondi è il Fatebenefratelli della Provincia Lombardo-Veneta, le cui strutture si sono riorganizzate in base alle esigenze richieste dal virus con aumento dei posti letto.

photo web source: ilregno.it

Una carezza di consolazione nel coronavirus

Un’altra struttura è quella dell’Istituto Figlie di San Camillo, con 321 posti tra Roma, Treviso, Trento, Cremona e Brescia, in cui operano 89 suore e ben 2 mila dipendenti laici. Poi, la Provincia Religiosa Madre della Divina Provvidenza, che opera tra i più fragili, con residenze sanitarie per anziani e per disabili.

Così i vescovi hanno deciso di rinnovare questa “carezza di consolazione”, come è stata definita, con misure concrete e che rispondano all’emergenza in modo pragmatico. Ma quella della Chiesa è anche una risposta decisa al rischio che nella povertà possa infiltrarsi la mano della criminalità organizzata.

Coronavirus, la carità contro il welfare della camorra

In un articolo su Famiglia Cristiana infatti si spiega come quello che viene chiamato il “welfare della camorra” sia, specialmente nei tragici tempi del coronavirus, una realtà da cui guardarsi con molta attenzione.

“Lo Stato? Se aspettate lo Stato, signora mia, fate la fame. Prendete qua, e ricordatevi chi veramente vi ha aiutato”, è la frase di un passante riportata dalla rivista cattolica, mentre afferra qualche bene di prima necessità da uno dei tanti cestini sospesi lasciati per le strade di Napoli.

I finti benefattori che adescano tra i palazzi del centro

“A vestire i panni del finto benefattore è quasi sempre un ragazzotto sui vent’anni, disponibile e affabile che intercetta i bisogni e le miserie di chi sta vivendo il dramma economico di una pandemia subdola e silenziosa”, spiega nell’articolo. Tutto succede all’ombra dei palazzi nei vicoli del centro storico napoletano. Non alla periferia cittadina, come spesso si potrebbe pensare.

Lo spiega don Tonino Palmese, vicario episcopale alla carità di Napoli. “Laddove non ci sono realtà di associazionismo che riescono a monitorare il reale bisogno della popolazione, è chiaro che la camorra può entrare e infiltrarsi”. Il sacerdote, che conosce bene questo tipo di fenomeno che ha combattuto per una vita intera, ha spiegato che con associazioni come la Caritas o le parrocchie si prova a consegnare generi alimentari e di prima necessità a chi ne ha bisogno.

Coronavirus, il problema è la mancanza di denaro

Ma il vero problema è la mancanza di denaro, spesso colmata dall’usura, a cui le istituzioni devono guardare con massima allerta. Le persone hanno bisogno di liquidità e appena lo trovano ci si tuffano, a ogni condizione. In questo contesto sguazza la camorra.

“Si corre il rischio che questa crisi fino a quando non ci sarà un movimento economico tale da far girare i soldi e dare la possibilità al sommerso ‘pulito’ di cominciare a riprendere la propria vita, possa alimentare i prestiti usurari della criminalità organizzata”, è l’allarme di don Tonino, che è anche referente dell’associazione Libera.

I lavoratori in nero e il coronavirus

“Tutto ciò che non è censito legalmente dal punto di vista amministrativo, come i lavoratori a nero, diventa potenziale vittima del crimine. Chi ora non guadagna non potrà fare a meno un domani di dare la propria disponibilità alla malavita, è una questione di sopravvivenza”, prosegue don Tonino. Mettendo in luce un rischio. Che “chi non riesce a lavorare oggi, domani non deve solo consegnare il danaro alla camorra ma anche la sua libertà”.

“Le famiglie povere sono quelle di sempre, povere erano e povere sono rimaste”, spiega invece Don Doriano De Luca, guida della comunità della chiesa dell’Immacolata Concezione e di Don Alessandro Gargiulo della chiesa Maria Santissima del Buon Rimedio, la parrocchia delle Vele di Scampia.

Le famiglie medie in cui si è perso il lavoro

“Il problema si pone con le famiglie medie dove si è perso il lavoro, ad esempio il tassista che non lavora da un mese e mezzo, l’artigiano. Persone umili che non sono abituate a chiedere. Sarebbe necessario un intervento tempestivo e attento del Comune e dei servizi sociali. Personalmente ho registrato lentezza da parte delle istituzioni”.

Don Doriano spesso ha combattuto le iniziative dei malavitosi, e in questa occasioni non ha fatto solo recapitare la spesa ai bisognosi, ma ha raccolto solid e buoni spesa, per “lasciare la libertà di scegliere cosa mangiare”. “La Chiesa è mobilitata sul territorio e agisce con una rete, gestita dalla Caritas decanale. Tanti altri soggetti si stanno prodigando, anche in forme di associazionismo spontaneo. C’è tanta generosità”.

Nella povertà fiorisce l’illegalità

Perché la povertà “è una condizione in cui fioriscono gli interessi. Anche il voler essere riconosciuti toglie gratuità ai gesti che si compiono e mi preoccupa il futuro. Temo i rapporti di dipendenza, risvolti politici o riconoscimenti sul piano delle tornate elettorali. Oggi i politici, i professionisti devono saper dimostrare di aver aiutato gratuitamente e non per un fine di propaganda.

C’è in gioco la sopravvivenza delle persone e anche gli amministratori devono fare la loro parte, remando nella stessa direzione”.

Giovanni Bernardi

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