In questi giorni di allarme per la diffusione del Coronavirus, i fedeli hanno trovate sbarrate le porte delle proprie chiese.
All’inizio del periodo di Quaresima i vescovi hanno seguito le indicazioni del Governo. Molti però hanno trovato questa una scelta esagerata.
L’era della globalizzazione è per molti considerata come il tempo del benessere, delle comodità e del progresso inarrestabile. Quella dell’individualismo sfrenato che non ha bisogno di niente e di nessuno. Eppure, oggi, di fronte all’improvviso scoppio dell’emergenza da Coronavirus, ci ritroviamo tutti più spaventati, disorientati, e soli. Talmente soli che sono state sbarrate anche le porte delle chiese.
Da giorni infatti, nelle Regioni maggiormente colpite dall’epidemia e dai rischi di amplificazione del contagio, sono state sospese le manifestazioni religiose. Sulla scia delle indicazioni delle Regioni e del governo centrale, malvolentieri accettate dai vescovi e dai religiosi, che tuttavia hanno acconsentito con obbedienza e spirito di collaborazione.
Anche a Loreto sono state sospese le messe mentre l’accesso alla Santa Casa è rimasto aperto ma a chi? Arrivare in questo luogo santo e non incontrare nessuno, vedere tutto il corso con i negozi chiusi fa veramente uno strano effetto.
Persino nel Santuario di Lourdes, da sempre rifugio per chi cerca una speranze, i vescovi francesi hanno accettato le indicazioni del governo di Macron, e hanno bloccato ogni possibilità di accedere alle piscine. Eppure, proprio in quei luoghi a rischio, dove sono state chiuse le chiese, ristoranti, metropolitane e molti altri luoghi pubblici sono tranquillamente frequentabili.
Quello che solo poco tempo fa avremmo creduto impensabile, al limite della follia, oggi è diventato improvvisamente realtà. Con lo sdegno inevitabile di molti fedeli.
Nel ‘500, all’epoca della peste, la storia ci riporta l’immagine di San Carlo Borromeo che cammina a piedi nudi per le strade di Milano, accanto ai malati, portando per loro la croce in occasione del Venerdì Santo. Oggi, invece, con il Coronavirus abbiamo avuto la dimostrazione della timorosa freddezza di una buona parte della Chiesa. E quindi di sacerdoti ridotti a funzionari, quasi impiegati delle funzioni religiose, e non uomini votati al sacrificio per il bene altrui.
Non viene di certo chiesto a nessuno di rischiare inutilmente per la propria salute. Ma si certifica che non si sono viste grandi levate di spade, ad eccezioni di alcuni impavidi veri discepoli di Nostro Signore, nel momento in cui per molti laicisti e ateisti militanti si è realizzato il proprio sogno. Quello di vedere le porte della chiesa sbarrate, e i suoi figli accettare la certificazione di un’impotenza, che sappiamo essere solo di facciata.
Perché i cristiani sanno bene che non c’è luogo più sicuro della propria chiesa, della Casa del Signore. E che non c’è strumento più potente della preghiera, per scacciare ogni male e ogni epidemia. Compresa quella del Coronavirus. Chi non crede a questo, probabilmente, ha difficoltà anche a credere nella Parola di Dio, a noi rivelata per mezzo dell’incarnazione nel Suo Figlio Gesù Cristo.
I cristiani non chiedono incoscienza, ma coerenza. In un primo momento, infatti, abbiamo visto un rincorrersi continuo a chi scattava la foto più social con le comunità straniere, tacciate di essere portatrici del virus. Ma appena ci siamo accorti che il virus era anche tra noi, è scattata la gara all’isolamento, alla chiusura, al chiuderci in casa.
Fino alla sospensione del Mercoledì delle Ceneri, che per i fedeli è un giorno di importanza straordinaria, in cui si ricorda che cenere siamo e cenere ritorneremo. Fino alla chiusura delle piscine di Lourdes. Come se l’acqua del santuario francese scoperta da Suor Bernadette, dopo che fu la Madonna stessa a indicargliela, fosse un’acqua in cui vi è il rischio di diffusione del contagio. Mentre i fedeli sanno perfettamente che non è così, che in quelle piscine l’unico contagio possibile è quello dell’amore donatoci da Nostro Signore.
Per cui facciamo nostro l’invito del Papa, pronunciato in apertura della Quaresima. “Non è il tempo per riversare sulla gente inutili moralismi”, ma “per riconoscere che le nostre misere ceneri sono amate da Dio”. Ricordando che la Quaresima è “tempo di grazia, per accogliere lo sguardo d’amore di Dio su di noi e, così guardati, cambiare vita”.
Ma preghiamo anche per la Chiesa e per i nostri sacerdoti, affinché possano ricordarsi della vera natura del proprio ruolo. Quello di essere uniti a Cristo e al loro popolo, nella gioia e nelle sofferenze, nei momenti di tranquillità e in quelli di emergenza. E di non lasciare mai l solo il proprio popolo. Ma di camminare insieme a lui, come grandi pastori e santi della Chiesa ci hanno da sempre testimoniato. In alcuni casi, fino al martirio. Perché Dio può trasformare la nostra polvere in gloria.
Giovanni Bernardi
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