Tra le varie questioni aperte del decreto annunciato dal Presidente del Consiglio Conte, c’è la questione di poter visitare i “congiunti”. Ma cosa si intende?
La questione infatti è diventata subito oggetto di una bufera politica, in quanto a molti la definizione è sembrata poco chiara o molto improvvisata. In un passaggio che di fatto rappresenta uno dei punti più attesi e importanti per i tanti italiani rinchiusi in casa che non possono vedere le persone a cui sono unite da legami affettivi.
Nell’articolo 1 del Dpcm infatti viene indicato che dal prossimo 4 maggio sarà possibile spostarsi con l’obiettivo di “incontrare congiunti“, rispettando tuttavia misure come le distanze di sicurezza, il divieto di assembramento e indossando “protezioni delle vie respiratorie”. Ma la parola congiunti di fatto è molto vaga e ampia nel suo significato e in poche ore si sono scatenate reazioni e commenti ironici di ogni tipo.
Basta pensare a un poliziotto che all’atto del controllo dovrà verificare se le persone sono congiunte o meno, e se tra di loro intercorre un vincolo di carattere affettivo, per comprendere la paradossalità e l’ilarità della cosa.
Tuttavia, il codice civile non fornisce alcuna specifica definizione di congiunti, ma parla invece di “parenti e affini”. Gli esperti di diritto in un primo momento hanno spiegato che sono questi gli unici che potremmo rivedere. Escludendo perciò tutte le persone che sono legati da vincoli non sanciti giuridicamente, nei quali sono compresi i fidanzati.
Ma Palazzo Chigi nelle ore successive alla conferenza stampa ha specificato che in quel termine sono inclusi “parenti, affini, coniugi, conviventi, ma anche fidanzati e affetti stabili“.
Un’altra questione aperta è quella delle seconde case. Nel Dpcm attualmente in vigore, emanato lo scorso 11 aprile, si vieta “ogni spostamento verso abitazioni diverse da quella principale, comprese le seconde case”. Ma questo passaggio nel nuovo pronunciamento non c’è, di conseguenza dovrebbe essere consentito recarsi nelle seconde case a patto che si trovino nella stessa regione, perché non è consentito uscire dalla regione.
Ma l’articolo 1 dello stesso decreto dice che l’unica motivazione per spostarsi è quella di fare visita ai “congiunti”. Non bastasse, si spiega anche che “è in ogni caso consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza“, permettendo cioè a chi ha residenza o domicilio nella seconda casa, di poterci tornare.
La questione investe in particolare modo le migliaia di persone che si spostano per motivi di lavoro da nord a sud o viceversa, in quanto il decreto prevede “in ogni caso” questo tipo di spostamento. Ma esclude quello tra le regioni.
Tanto che è lo stesso comitato tecnico-scientifico ad ammettere che bisognerà ricorrere a della “circolari interpretative”. Pur restando l’indicazione di limitare “più possibile gli spostamenti tra Regioni”. Che assomiglia però, così, molto più a una raccomandazione che a una legge. E dimostra che, dal punto di vista governativo, le imprecisioni, le grossolanità, le improvvisazioni si stanno dimostrando più che presenti.
E che l’idea di scaricare le responsabilità su di un significativo numero di tecnici nominati da un momento all’altro non regga più molto. Ci sono molti politici, eletti regolarmente, che dovrebbero compiere il loro lavoro che non lo stanno facendo. E scaricano la palla su “tecnici” estranei che, non solo non si capisce a che titolo lavorino, ma non pare nemmeno che facciano troppo bene il loro lavoro.
“Le microprescrizioni sono frutto dell’abitudine dello Stato italiano a non considerarci cittadini adulti e dell’ossessione leguleieggiante di questo Paese per normare ogni minimo dettaglio”, commenta ironico e beffardo su Twitter il giornalista e conduttore di Radio 24 Simone Spetia. “Due cose ugualmente insopportabili, ma con radici molto, molto profonde”
Giovanni Bernardi
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