Dura critica del virologo Andrea Crisanti sull’impostazione della fase due da parte del governo. “È senza criterio scientifico”.
Crisanti, virologo dell’università di Padova, ha spiegato che dal suo punto di vista le decisioni sono state prese in maniera arbitraria e quindi inadatta e confusa. “Non vedo il razionale. Basti pensare a un dato: abbiamo chiuso l’Italia con 1.797 casi al giorno e la riapriamo tutta quanta insieme con 2.200. È una cosa senza metrica”, ha spiegato ad Adnkronos.
“Non ci resta che sperare che il caldo uccida il virus“, è la battuta con cui tenta di liquidare la questione. Se non fosse in realtà tragica. Tante piccole e medie aziende rischiano di chiudere da un momento all’altro, e molti ci si chiedono perché un piccolo locale in una regione che ad oggi ha un numero di contagi vicini allo zero debba per forza restare chiuso, consapevole che in questo modo non rialzerà mai le serrande.
Oppure molti non capiscono perché le persone possano fare la fila per gli acquisti al supermercato ma non per prendere un caffè al bar o un gelato in gelateria. Domande che i commercianti che rischiano il fallimento e le conseguenti difficoltà economiche per le proprie famiglie si fanno con sgomento e talvolta rabbia.
Crisanti, responsabile del Laboratorio di microbiologia e virologia delll’Azienda ospedaliera di Padova, entrando nel merito scientifico della vicenda ha spiegato che l’epidemia “segue le sue dinamiche, ha un sua logica e noi invece mi sembrerebbe di no”. La critica è appunto al fatto che il governo e il mastodontico comitato tecnico-scientifico nominato da Conte si sia mosso senza considerare le differenze evidenti che ci sono tra le regioni.
E quindi non prendendo in considerazione alcun dato di natura scientifica legato alla valutazione del rischio. Se le decisioni, come ripetuto più volte, sono politiche, allora Conte ha deciso in maniera arbitraria cosa chiudere o cosa fare restare aperto. Ma ci si chiede quale siano state le indicazioni degli scienziati, messi in posizione di decidere per le sorti dell’intera comunità nazionale.
“È chiaro che il rischio è diverso tra regione e regione e non è uno dei fattori che viene valutato. In conclusione, nell’equazione che si sta utilizzando non entra la valutazione del rischio”, continua Crisanti. Ci si chiede allora quale sarebbe stato un modo alternativo di affrontare la cosa. “Il metodo alternativo era aprire in un primo gruppo di regioni, con situazioni differenti a livello epidemiologico e sociale e con diverse capacità di risposta, per capire quale dinamica si sarebbe innescata”, è la risposta di Crisanti.
“In questo modo avremmo potuto testare la capacità di reazione, differenziare e gradualmente aprire tutto il resto”. Per esempio in Veneto, regione che inizialmente è stata attaccata da una forte pressione epidemiologica ma che ha saputo reagire con grande prontezza e con il giusto approccio, visitando i pazienti a casa e non ospedalizzando il virus, il virologo ha sottolineato come le cose siano poi andate diversamente. E sono tutt’ora diverse.
“In Veneto ci si è preparati per la fase 2. Il Veneto ha fatto grossi investimenti, ha comprato macchinari e ora è in grado, considerando tutta la rete, di viaggiare al ritmo di 18 mila tamponi al giorno”.
Giovanni Bernardi
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