Oltre alla crisi sanitaria si fa sempre più spazio anche quella economica dei lavoratori precari o non in regola.
Negli ultimi giorni dove siamo tutti chiusi per ilcoronavirus, stiamo cominciando a vedere i primi segnali di una nuova emergenza.
Ci sono state rapine nei negozi, in alcune regioni gli allarmi di famiglie rimaste senza soldi dovrebbero cominciare ad allarmarci. Cosa aspettano i nostri politici a prendere provvedimenti seri?
Il Pontefice stamattina a Santa Marta lo ha spiegato chiaramente. “In alcune parti del mondo si sono evidenziate alcune conseguenze della pandemia (da Coronavirus). Una è la fame. Si comincia a vedere gente che ha fame perché non può lavorare, perché non aveva un lavoro fisso. Cominciamo a vedere già il dopo. Verrà più tardi ma comincia adesso”, ha detto il Papa.
Sui social sono state segnalate numerose minacce di chi ammetteva che, di questo passo, finirà per assaltare i supermercati. A Palermo è già successo poche notti fa. A Bari un video che ha fatto il giro del web e dei telegiornali mostrava una donna disperata che chiedeva 50 euro per mangiare. La sua attività di piccola commerciante in questi giorni è stata chiusa. E per questo non aveva più soldi per mangiare.
Dopo tre settimane di chiusura di tutte le attività, in particolar modo delle piccole che non sono garantite da sussidi di alcun tipo, il problema di cosa portare a tavola per alcuni si fa pressante. La maggior parte di queste difficoltà provengono purtroppo da alcune regioni del meridione, specialmente in quelle aree dove il lavoro nero è una pratica più diffusa che altrove. Più o meno il 50% delle famiglie che vivono questa emergenza provengono da queste zone, dicono i dati.
Per chi lavora senza alcuna garanzia, bloccare tutto significa restare senza niente da mangiare. In questi giorni il ministro del Mezzogiorno Giuseppe Provenzano ha posto con coraggio il problema. Le critiche sono arrivate numerose, ma la questione della fame è reale. Il rischio è dell’esplosione di una bomba sociale difficile da controllare e che causerebbe serie difficoltà in questi giorni di emergenza. Dove è necessario limitare i contatti per non ampliare il contagio. Così, al danno subentrerebbe anche la beffa.
Non si tratterebbe quindi di legittimare il lavoro nero ma di rendersi conto di una realtà che esiste nel paese, piuttosto che fare finta del contrario. I dati dell’Istat affermano che si tratta di una cifra ci circa 3 milioni e 700 mila lavoratori in carne ed ossa. Che svolgono ogni giorno lavoro non regolare ma a tempo pieno. Quasi 3 milioni di questi sono dipendenti. Per la maggior parte, nei settori legati a colf e badanti, all’agricoltura, poi all’edilizia, al commercio, ai trasporti, e al mondo del turismo. Alberghi e ristorazione, in particolare.
Alcuni hanno solo una parte in nero, per altri il problema riguarda tutto lo stipendio. Si parla di un’allargamento del reddito di cittadinanza. Ma il dubbio è se questo possa alimentare anche la crescita del lavoro nero dopo questo periodo di emergenza. Purtroppo però, guardando in faccia queste persone, e incontrandole nelle strade o nei supermercati alle prese con questo tipo di difficoltà, sarà necessario trovare una soluzione.
Le associazioni cristiane come ad esempio la Caritas cercano quotidianamente di individuare queste situazioni anche nel pericolo di contagio da coronavirus. Ma non è sempre facile. Le reti delle singole comunità cercando di attivarsi, ma c’è anche un discorso di dignità personale, e di timore di essere denunciati e quindi di perdere anche la possibilità del lavoro in nero. Che è l’unica evidentemente a disposizione.
Quindi non resta altro che unirci tutti insieme all’appello del nostro Papa Francesco: “preghiamo per le famiglie che incominciano ad avere bisogno per la pandemia”.
Giovanni Bernardi
Fonte: avvenire.it
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