Sul coronavirus si è detto tutto e il contrario di tutte. Il virologo Guido Silvestri ha perciò deciso di pubblicare un decalogo delle cose da sapere.
Dieci punti che fanno chiarezza sul mare magnum delle informazioni che abbiamo ricevuto un questi giorni. Dalla questione dei test sierologici, a quella dei tempi e della loro efficacia, al centro del riassunto del professore della Emory University di Atlanta c’è “la più grande speranza” contro “la minaccia”.
Al primo posto c’è il fatto che il “un vaccino sicuro e di grande efficacia, tipo per esempio quello del morbillo o della polio o del tetano, è certamente la più grande speranza per eliminare una volta per tutte la minaccia di Covid-19 dalla faccia del nostro pianeta”.
L’unica soluzione, per il professore, per tornare al cento per cento a una vita del tutto normale. E per questo, a suo avviso, è giusto investire in questa direzione risorse finanziarie e di personale.
Al secondo posto, la necessità di evitare “contrapposizioni senza senso”. Ne abbiamo viste molte, all’interno della comunità scientifica e tra i politici. Senza parlare di chi ha posizione ideologiche precostituite difficili da fare abbandonare.
Oppure, “di priorità tra vaccini e altri interventi socio-sanitari”. Un “ragionamento davvero da imbecilli”, lo bolla Silvestri. Spiegando che mentre va avanti la ricerca sul vaccino, nel frattempo si deve procedere sulle terapie “antivirali, anticorpi monoclonali, plasma, immuno-modulatori, ed altre potenziali terapie, insieme ovviamente alla ricerca di base”.
Al terzo posto, agire sul “meccanismo d’azione”. “I vaccini più promettenti al momento sono quelli che inducono la produzione di anticorpi che neutralizzano il virus”, e in questo modo “il virus non può entrare nella cellula e diventa quindi incapace di replicare e di trasmettersi”.
Subito dopo, la spiegazione del “perché dovrebbe funzionare”. Gli studi più approfonditi hanno individuato che il coronavirus “ha una capacità di mutare relativamente bassa, soprattutto se paragonata ad altri virus come Hiv, epatite C, influenza”. Per questo, le sequenze individuate e conservate sono “abbastanza facili da neutralizzare dagli anticorpi”.
Un “motivo di grande ottimismo, insieme alla nota osservazione che i pazienti guariti da Covid-19 e con anticorpi Igg nel siero non sembrano ammalarsi per una seconda volta”. Al quinto posto, c’è però l’idea che il vaccino “potrebbe funzionare a metà”.
“Lo scenario più roseo, ovviamente, è quello di un vaccino che induce la produzione di anticorpi neutralizzanti contro S1 che conferiscono una protezione sterilizzante (cioè le persone vaccinate non si infettano proprio) e che dura per tutta la vita”. Però, c’è anche l’altra ipotesi, di “scenari meno rosei, ma sempre altamente positivi”.
Ovvero quella di “un vaccino che protegge dalle conseguenze più severe dell’infezione, come la polmonite, ma non dalla colonizzazione delle vie aere superiori, che causerebbe un banale raffreddore (ma permetterebbe la diffusione del virus), e un vaccino che conferisce una protezioni limitata nel tempo, per esempio di 2-3 anni (e che quindi dovrà essere ripetuto ad intervalli regolari)”.
Al sesto posto, la possibilità di avere “molti candidati vaccini”. Al momento “ci sono oltre 70 candidati vaccini per Covid-19”. Un fatto che può essere visto in modo positivo, ma il problema è che ne basta uno solo.
“Tutti questi candidati possono essere raggruppati in alcune categorie di base: virus attenuati, virus inattivati, vettori a Dna, vettori a Rna, vettori virali (tipo adenovirus), e proteine o subunità virali ricombinanti”, spiega. Al settimo posto, la necessità di fare presto. Perché “non abbiamo tempo da perdere”.
“Per questo le varie tappe nello sviluppo di un vaccino, che si possono dividere in studi pre-clinici e clinici, vanno accelerate al massimo”. Gli studi si dividono in pre-clinici, analisi in vitro e sperimentazione su animali, e studi clinici sull’uomo, che dimostrano che il vaccino non fa danni e stimola la produzione di anticorpi, e di efficacia, in cui si attesta che il vaccino protegge dall’infezione.
Ma “per il momento diversi candidati sembrano in grado di far produrre anticorpi neutralizzanti che proteggono dall’infezione nel modello animale e presto avremo i risultati dei primi studi clinici”.
All’ottavo posto, però, c’è l’accortezza di non esagerare con la velocità a discapito della sicurezza. Due sono i “potenziali problemi. Il primo è quello delle risposte immunitarie che, almeno nel caso di Coronavirus o Sars-Cov-1, possono risultare in forme gravi di polmonite nel topo”.
E “quello di indurre la produzione di anticorpi che favoriscono, anziché contrastare, l’ingresso del virus nelle cellule dell’ospite”. Al nono posto la tempistica, quindi, incerta. Tra casi peggiorativi della realtà e chi ci va cauto, Silvestri sta con la seconda categoria.
“Se me lo chiedono dico che ci vorranno 12-18 mesi minimo, anche se i dati che stanno arrivando dagli studi sui macachi indicano un livello tale di immunogenicità e protezione dall’infezione sperimentale che lascia presagire un ottimo funzionamento anche nell’uomo”.
Infine, il numero dieci. “Basta con le pu…, please!”, grida Silvestri. “I noti ciarlatani e pseudo-scienziati in servizio permanente effettivo farebbero bene per una volta ad astenersi dal propagare le loro solite menzogne nere a base di microscopi patacca, formaldeide, nanoparticelle, e compagnia bella.
Sono morte oltre 300.000 persone di questa malattie e certe boiate non fanno più neanche ridere”.
Giovanni Bernardi
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