Durante la crisi del coronavirus, c’è stata purtroppo una dimenticanza grave da parte delle istituzioni. E riguarda le migliaia di giovani che in Italia hanno problemi di dipendenza dalla droga, e vivono all’interno di comunità di recupero.
Per loro non è stato previsto nessun protocollo scientifico di sicurezza. Si tratta molto spesso di studenti, di disoccupati o di giovani al primo impieghi, con problemi giganti alle loro spalle. Emotivamente fragili, immunodepressi. Hanno passato le settimane della quarantena a pieno contatto con il proprio male peggiore, la dipendenza, o l’astinenza.
Coronavirus, la droga viaggia sul web
Che significa, alla ricerca disperata di droga, quando non nella strada, perché non si poteva uscire, nel web. Facendosela recapitare a casa. Nelle comunità di recupero alcuni educatori e operatori sono rimasti ad accudirli volontariamente, senza alcun tipo di retribuzione, per la maggior parte delle volte sforniti di alcun tipo di protezione sanitaria.
I servizi di assistenza per le tossicodipendenze, infatti, sono stati dimezzati a causa della quarantena per il coronavirus. I servizi diurni si sono limitati a garantire il metadone, e i nuovi ingressi nelle comunità si sono totalmente azzerati. Le comunità stesse sono finite in ginocchio dal punto di vista economico, per via del blocco totale delle attività.
Lo spaccio di droga è l’unico che continua
I progetti in corso si sono dovuti arrestare, quando non del tutto annullare. Anche in parlamento, la revisione della vecchia legge sulle dipendenze è saltata. Il risultato è che “nel campo della presa in carico dei più fragili fra i ragazzi ora si rischia di fare un balzo indietro di anni”, come scrive il quotidiano dei vescovi Avvenire.
E lo spaccio di droga ha così campo libero. Continua, fiorente, in molte piazze italiane. Facendo vincere la sfida, alla fine della giostra, proprio alla droga. Una condizione che dovrebbe allarmare le istituzioni. Ma le voci delle comunità e degli operatori rimangono troppo spesso lettera morta, inascoltate.
Una zona d’ombra di esclusi ed emarginati
E quello che si crea è una vera e propria zona d’ombra, dove vivono un popolo di esclusi, emarginati, invisibili. I casi legati a questo tipo di emergenza arrivano da tutte le parti d’Italia. Tanti giovani, con la riapertura dal lockdown, invece di tornare in comunità sono tornati in strada alla ricerca di droga.
L’astinenza li ha devastati, fisicamente ed emotivamente. E nessuno si è preso cura di loro, i più fragili. Fuori delle comunità le fila si sono incrementate in maniera esponenziale, e nessuno ha dato loro risposte. Mentre però le comunità lanciavano allarmi, a gran voce, in gran parte inascoltati.
I numeri terrificanti delle dipendenze in Italia
Le ultime relazioni effettuate in Parlamento parlano di una crescita drammatica nei consumi e in modo particolare tra i minorenni. Il trend dei morti a causa della droga, in crescita, parla di un decesso ogni 26 ore.
I ragazzi che hanno fatto uso di sostanze psicoattive illegali nel 2018 sono stati 660mila, secondo la Parlamento del 2019. Le morti per overdose nel corso del 2018 sono state 334, contro le 296 del 2017. Tra le donne, il numero dei decessi è raddoppiato.
Droga e dipendenze, un popolo di 460mila invisibili
Ad oggi, le persone che necessitano di trattamenti terapeutici per una dipendenza conclamata, che sia da droga oppure da alcol o gioco d’azzardo, sono 460mila. Soltanto una persona su tre con dipendenza viene effettivamente intercettata e seguita da servizi specialistici, che la inseriscono in un percorso di cura. Le altre, sparite.
Soltanto otto minori su cento, tra quelli che si trovano ad essere in carico agli uffici del Servizio sociale per una dipendenza da sostanze, vengono inviati in strutture specializzate. Tra i 568 Serd italiani, i servizi pubblici per le dipendenze, dislocati in 628 ambulatori e dove lavorano 6.496 operator. Un dato che ci parla di un operatore uno ogni 20 utenti.
Il coronavirus e le fragilità dimenticate
Con l’arrivo del coronavirus, “le strutture che accolgono questi “esseri in fuga”, sono rimaste invisibili. Si parla cioè non solo dei tossicodipendenti ma sempre più spesso anche di dipendenti di varia natura, e poi di malati psichiatrici, persone con una loro storia personale che finiscono per diventare degli scarti.
Periferie umane troppo lontane dai riflettori, hanno spiegato Biagio Sciortino, presidente nazionale di Intercear-Rete dei coordinamenti regionali degli enti accreditati per le dipendenze, Luciano Squillaci, presidente nazionale della Federazione italiana comunità terapeutiche, e padre Salvatore Lo Bue, presidente della Casa dei Giovani di Bagheria.
“Nelle nostre strutture si è capito subito che non bastava limitarsi a fare delle richieste ad autorità superiori, ma bisognava rimboccarsi le maniche e operare autonomamente delle scelte per salvaguardare i ragazzi”, si spiega nel pesante sfogo dei tre.
Nessuna risposta da parte dei governanti
“L’isolamento è stato scelto prim’ancora che baluginasse alla mente degli esperti nazionali” il caso delle Rsa. “Grazie a questa decisione in parecchie centinaia di comunità terapeutiche italiane non si sono registrati casi di positività al Covid-19 e non perché, come dice qualcuno, i tossicodipendenti sono immuni: al contrario, l’uso di droghe abbassa le difese immunitarie”.
Nel momento in cui l’idea di una normalizzazione fosse finalmente vicina, le associazioni hanno provato a cercare con maggior forza i governanti. Che però, mentre pensavano a qualsiasi tipo di attività, dei centri di recupero dalle dipendenze, dove la maggior parte sono minorenni, nessuna notizia. Nessun provvedimento, nemmeno una parola. Quasi non esistessero.
“Abbiamo pensato di chiudere le comunità”
”Siamo del tutto ignorati, è il grido congiunto. “C’è stato un momento in cui per provocazione abbiamo pensato persino di chiuderle, le nostre comunità”, rivelano con tristezza.
“Se queste persone finissero in strada, all’improvviso, forse il governo si accorgerebbe di loro e di ciò di cui hanno bisogno ogni giorno. Prevale, però, come evidente, il nostro senso di responsabilità, l’amore per questi ragazzi. Che non possono essere abbandonati anche da noi”.
Giovanni Bernardi
fonte: avvenire.it
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