Delle quattromila strutture di ospitalità religiosa presenti in Italia, a causa delle restrizioni dovute al coronavirus soltanto la metà di queste riapriranno questa estate.
Riaprire secondo i criteri richiesti dal governo per molte di queste è infatti in realtà praticamente impossibile. Così le numerose case di proprietà gestite dagli ordini religiosi oppure affidate a laici, onlus o cooperative, si trovano ad essere in forte difficoltà.
Come spiega alla rivista Tempi il presidente dell’associazione Ospitalità religiosa italiana Fabio Rocchi. Si parla di “287 mila posti letto che il mondo religioso mette a disposizione di tutti, pellegrini, famiglie, persone diversamente abili, gruppi parrocchiali o sportivi, lavoratori e studenti, come da tradizione millenaria nel nostro paese”.
“Mette, anzi, metteva”, spiega sconsolato Rocchi. Pensando a tutti quegli ostelli, monasteri, foresterie o studentati che per il 2020 hanno stimato perdite che vanno dal 40 per cento per arrivare fino al 90 per cento. Considerato che il fine dell’ospitalità religiosa è diverso da quello alberghiero, i numeri sono drammatici. In quanto si tratta di sostenere con i ricavi le numerose attività caritative di parrocchie, diocesi e ordini religiosi.
Dietro di questo ci sono bisognosi e indigenti, da un lato. E dall’altro tanti cristiani che ogni giorno rendono piena la loro vita attraverso l’amore e la carità verso il prossimo. Il danno stimato, spiega Rocchi, è di “circa 5 milioni di euro al giorno per ogni giorno di lockdown che andrà a colpire i più poveri”. In Italia e nel terzo mondo.
Realtà che offrono prezzi molto più abbordabili rispetto agli hotel, e sistemazioni tranquille a appartate. In cui soggiornare in grande tranquillità, da soli o nelle famiglie. Molte di queste vivono di offerte libere. Ma le spese richieste per le sanificazioni, per i dispositivi di protezione, per riprogrammare zone comuni e gestione sanitaria, sono ostacoli per loro insuperabili.
“La pandemia ha affossato chi già pativa difficoltà, un centinaio di strutture ha dovuto rassegnarsi ad avviare le procedure di chiusura definitiva. Si tratta di 6-7 mila posti letto, decisioni già prese e irreversibili. Alcune strutture cesseranno di dedicarsi all’ospitalità e verranno riconvertite in case di riposo o di soggiorno per immigrati”, spiega Rocchi.
“Più di duecento hanno invece deciso che almeno quest’anno non accoglieranno gruppi religiosi e turisti, per non mettere a repentaglio la salute di ospiti e collaboratori”. Strutture sparse per tutte il territorio nazionale, dai grandi centri urbani alle montagne più isolate. Dalle montagne del trentino alle coste siciliane.
In tutti gli angoli d’Italia sorgono eremi e conventi che accolgono ogni anno pellegrini e viaggiatori. Impiegando circa ventimila persone, tra collaboratori e dipendenti. A cui si aggiungono i tanti volontari che danno così un senso alle loro giornate, spese per il prossimo.
Comunità felici di accogliere messe alla dura prova da un cumulo di regole complicate dovute all’emergere di un virus imprevisto e terribile. Un mondo spontaneo sorto nei secoli. Che durante il lockdown ha accolto anche molti lavoratori o studenti impossibilitati a tornare nelle proprie regioni di origine.
Luoghi che d’estate ospitano bambini per i campi scuola e famiglie per distrarsi dai loro impegni frenetici e ritrovare la bellezza di una passeggiata nella natura, tra scherzi e sorrisi.
“Nessuno sa cosa si potrà fare e quando, nessuno sa quale sarà l’impatto di Covid sulla fiducia di famiglie che hanno sempre affidato a educatori, preti e maestri i propri figli per periodi di vacanza e amicizia con i coetanei. Le continue minacce di di ritorno alla fase 1 non invogliano le persone ad allontanarsi dalla residenza”, spiega Rocchi.
Si spiega solo che il miracolo dell’amore, dell’ospitalità, della possibilità di godere della bellezza del nostro paese possa continuare, nei secoli, ad essere accessibile a tutti. E non ad essere stritolato tra le norme dovute all’emergenza sanitaria.
Giovanni Bernardi
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