Ad oggi, ancora non sappiamo molto del coronavirus dal punto di vista scientifico. Ma possiamo fare alcune considerazioni su come è stata affrontata l’emergenza.
Ma sappiamo per certo che finora si è trattato di una tragedia dalle dimensioni immani, in alcune aree del paese più che in altre. Prima tra tutte, la Lombardia. Il primo caso di coronavirus italiano è infatti stato registrato in provincia di Lodi, all’ospedale di Codogno, il 20 febbraio. Da lì sono bastate due settimane per mettere tutto il paese in quarantena, con misure più dure che in Cina. Ora, dopo due mesi, siamo fuori dalla “fase uno” delle restrizioni.
La risposta sanitaria contro il coronavirus
Alle spalle, però, trentamila decessi, e un gran numero di famiglie che da un giorno all’altro ha saputo che non potrà più rivedere i propri cari, senza nemmeno aver potuto assistere al funerale. In Lombardia, questi vissuti sono molto più presenti e pressanti che nelle altre zone d’Italia.
Ci si chiede come mai, cosa sia successo. Lo si chiede da molte voci diverse tra loro e la verità è che una risposta univoca non c’è. Se non che si tratta di una vera e propria tragica ecatombe. Ripercorrendo i fatti, sappiamo che ad oggi sono circa 14 mila le persone decedute in Lombardia, la metà dell’intero paese.
La tragedia lombarda
Un numero che però è molto probabilmente inferiore a quello reale. Il coronavirus è arrivato con così irruenza che nemmeno le autorità sono riuscite a tenere il numero dei morti. Sono però bastate le immagini dei camion militari che trasportavano le salme fuori da Bergamo a restituire l’idea di quanto successo.
Ormai da decenni gli scienziati avevano cominciato a preavvertire il rischio della pandemia, e nonostante ciò nessun governo si è preparato nella giusta maniera. Solo con l’aviaria e la Sars il tema ha cominciato a fare paura, e si è cominciato ad adottare protocolli governativi con i quali affrontare eventuali situazioni di questo tipo.
Il piano anti-pandemia e gli allarmi inascoltati
L’Italia mise in campo il suo primo piano anti-pandemico solamente nel 2006, e ogni singola regione si adoperò poco dopo. Ma dal 2009 questi piani non sono più stati aggiornati, e con questi le scorte di materiale hanno smesso di essere rifornite.
La Lombardia è da sempre considerata la migliore sanità italiana, e tra le migliori a livello europeo, per questo avrebbe dovuto essere la più preparata nell’affrontare la pandemia. Ma così evidentemente non è stato, anzi tutt’altro. In Lombardia c’è polo internazionale che ogni anno attira migliaia di pazienti da tutto il mondo.
Il modello della sanità lombarda e il disastro del coronavirus
Con il coronavirus questa realtà è andata in crisi e ha cominciato a fare emergere alcuni dubbi, specialmente per quanto riguarda la gestione privata degli ospedali, che tuttavia aveva permesso che questi diventassero a prima vista moderni, efficienti ed estremamente all’avanguardia.
Negli anni ha salvato migliaia di vite ma ora ha mostrato diverse criticità, forse alla base del fatto che il coronavirus ha così fortemente colpito la sanità lombarda. L’era Formigoni ha cambiato radicalmente la realtà della sanità lombarda, oggi per metà privata convenzionata con il pubblico.
L’assistenza territoriale e il modello veneto
Anche l‘assistenza territoriale trascurata è finita per essere un elemento tornato fortemente in discussione in questi giorni. In un paese come l’Italia, dove la popolazione anziana aumenta sempre di più, la rete di medici e ambulatori che operano nel territorio avrebbe bisogno di essere rafforzata ed estesa.
Il caso del Veneto, che ha reagito in maniera estremamente più efficace all’emergenza, mostra che qualcosa di diverso era possibile farlo. Il governo di Zaia, affiancato dal microbiologo dell’università di Padova Andrea Crisanti, fin da gennaio si era mosso per cercare di tracciare il contagio, producendo reagenti chimici necessari all’ottenimento dei tamponi. Centinaia di migliaia di tamponi.
Le indicazioni totalmente errate dell’Oms
In Veneto ci si premunì addirittura di acquistare un macchinario in Olanda in grado di fare fronte fino a novemila tamponi al giorni. La capacità di fare i test in questo modo è aumentata notevolmente, finendo per risultare fondamentale, in particolare con l’ausilio di un laboratorio con strumentazioni di grande sofisticatezza come quello di Padova.
Nonostante le stesse indicazioni dell’Organizzazione mondiale della Sanità che andavano in tutt’altra direzione, affermando che sarebbe stato inutile. Affermazioni risultate profondamente errate. La Lombardia non fece questo tipo di operazioni, e risultò profondamente impreparata. La mancanza di tamponi ha impedito di testare asintomatici e persino persone con sintomi gravi.
Lo scoppio epidemico e i diversi momenti del coronavirus
Una volta scoppiata la bomba epidemica, gli ospedali divennero trincee con le quali affrontare in prima linea la guerra contro il coronavirus. Medici e operatori parlano di giornate profondamente tragiche, con numeri da fare sbiancare. Purtroppo, anche la sfortuna ha giocato la sua parte, e la situazione ha continuato ad aggravarsi ancora più.
Il coronavirus tuttavia in Italia ha attraversato tre momenti. L’arrivo del virus, l’istituzione delle zone rosse e la terza fase, quella in cui siamo ora, con una quarantena generalizzata e una situazione parzialmente sotto controllo dal punto di vista medico. Sicuramente meno dal punto di vista economico e sociale, e non sappiamo bene come evolverà la situazione prossimamente.
Non conosciamo le colpe, ma speriamo che si impari
Non sapremo forse mai quanto ha inciso il caso, quanto i limiti umani, quanto la cattiva gestione dal punto di vista politico. Quanto siano stati segnanti i processi di ospedalizzazione, di modello sanitario. Tuttavia è forse presto dare giudizi, specie di fronte al male che prosegue giorno dopo giorno, ancora.
Tuttavia, la speranza è che si capisca dove si è sbagliato per poter affrontare meglio, d’oggi in poi, questo dramma che ci segnerà ancora molto a lungo.
Giovanni Bernardi
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