La tesi del microchirurgo Joseph Tritto: il coronavirus è nato in laboratorio. La prova? Ci sono tracce di Hiv nel genoma.
Il professor Joseph Tritto è un esperto di biotecnologie e nanonotecnologie, con una carriera medica e scientifica internazionale alle spalle, che lo ha portato ad essere presidente dell’importante accademia Wabt, World Academy of Biomedical Sciences and Technologies.
Nel suo libro che uscirà in Italia il 4 agosto per i tipi di Cantagalli, dal titolo “Cina Covid 19 – La chimera che ha cambiato il mondo”, lo scienziato porta prove molto significative a supporto della sua tesi che certamente creerà scompiglio e molto dibattito. Ovvero che il Covid-19 non è altro che il frutto di una “ingegnerizzazione” che ha avuto luogo nel laboratorio di alta sicurezza di Wuhan.
Intervistato dal quotidiano Libero, il prof. Tritto ha spiegato che tra i moventi che lo hanno portato a scrivere il libro ce ne sono vari. Di natura morale e professionale. Ovvero, i primi, legati al fatto che molti medici si sono ammalati per combattere il virus in prima linea. La seconda riguarda la mission della sua organizzazione, quella cioè di analizzare l’impatto etico delle biotecnologie sull’uomo.
Ragioni che lo portano ad affermare con pervicacia la sua tesi, del tutto contraria all’ipotesi “finora accreditata”. Quella cioè “che questo virus si sia generato in natura dalla combinazione tra un virus di pipistrello e uno di pangolino”. Il professore ha spiegato che per fare in modo che questo avvenga servirebbe un lasso di tempo compreso tra 40 e i 200 anni. Senza contare il fatto che “le due specie coinvolte dovrebbero condividere la stessa nicchia ecologica, cosa che in questo caso non è”.
Oltre a questo, servirebbe un ospite intermedio che avrebbe dovuto contrarre il virus e trasmetterlo, di cui però al momento non si ha notizia. “Basterebbero questi elementi a rendere l’ipotesi di un’origine naturale del virus statisticamente improbabile e per ora scientificamente indimostrabile”. Tuttavia ci sono altri elementi che fanno pensare a tesi molto diverse da quelle comunemente proposte sui media.
“C’è un altro fattore, nel genoma del SARS-CoV-2, che rende quest’ ipotesi non plausibile”, ha spiegato il professore. Ci sono infatti delle pubblicazioni in cui “si dimostra che il SARS-CoV-2 non è solo un ibrido tra il virus del pipistrello e quello del pangolino. Ma al suo interno ci sono piccoli inserti, dei residui di amminoacidi del virus HIV-1, responsabile dell’Aids”. Elementi che perciò avrebbero molto da fare pensare agli studiosi che si trovano tra le mani con questo dato di laboratorio.
“La presenza di questi inserti in un virus sviluppatosi in natura non potrebbe mai verificarsi. Non solo. Il genoma del SARS-CoV-2 presenta un’altra modifica sul cosiddetto sito furinico intracellulare, come confermano due studi, uno cinese, uno franco-canadese. Entrambi gli inserti hanno una funzione: l’inserto dell’HIV-1 permette al SARS-CoV-2 di ancorarsi alla cellula umana e di penetrare la cellula. È quindi presumibilmente responsabile dell’alta infettività del virus”, spiega.
In soldoni, senza la presenza di questo inserti correlato all’Hiv, il virus non avrebbe potuto in alcun modo trasferirsi all’uomo. E questo inserto non può essere presente in natura all’interno del virus. Il che fa pensare che ci sia dietro un preciso esperimento di laboratorio, originato da azioni umane. “La modifica al sito clivaggio furinico consente al virus di moltiplicarsi all’interno della cellula e lo rende fortemente patogeno”, spiega il professore in termini tecnici.
Al di là dei complottismi spiccioli, si tratterebbe della prova che il Covid-19 è stato creato in laboratorio? E se fosse così, a quale scopo? Ci sono cioè degli intenti puramente scientifici, oppure si tratta di un’azione addirittura di bio-terrorismo? La spiegazione, spiega il professore, è complessa. Tutto nasce in seguito all’epidemia della Sars che si è registrata nel 2005.
In quel momento nacque l’Istituto di Virologia di Wuhan, alla cui guida si instaura la prof. Shi Zheng-Li, che si occupa proprio di reperire coronavirus tratti da pipistrelli e ricombinati con altre componenti per lo sviluppo di vaccini. Nel 2010 incontra ricercatori americani che lavorano sugli stessi argomenti. Questi, grazie alle indicazioni della scienziata cinese, creeranno un virus di laboratorio simile alla Sars, entrando gli uni in competizione con gli altri.
Il laboratorio cinese svilupperà così un virus ancora più potente, per realizzare un vaccino, di conseguenza, ancora più potente. Nato dalla combinazione del virus di pipistrello con quello di pangolino. Queste ricerche attireranno gli interessi del settore militare cinese, per quanto riguarda la produzione di armi biologiche usate a scopo difensivo e offensivo. Da lì biologi militari affiancheranno la scienziata, e spingeranno per introdurre inserti ingegnerizzati nel genoma del virus.
Il risultato verrà registrato come H-nCoV-19 (Human new Covid 19), un nuovo virus diverso dalla Sars. Che verosimilmente potrebbe essere uscito dal laboratorio per errori umani, come una “fuga accidentale”, spiega Tritto. “Nel laboratorio di Wuhan si muoveva troppa gente: più individui ci sono più cresce il rischio di contaminazione. Inoltre molte delle persone al suo interno non avevano una formazione specifica per trattare certi virus in modo coordinato e attento”.
In tutto ciò, resta il fatto che ancora oggi la Cina non ha mai fornito il genoma completo del virus ad altri paesi, e nemmeno all’Organizzazione Mondiale della Sanità. Presumibilmente, a detta del professore, perché avrebbe significato fornire una prova schiacciante sull’origine del virus. Ma le trattative tra intelligence internazionali proseguono. Rapporti diplomatici in cui però sono presenti anche importanti interessi economici. E si pensa che in cambio della possibilità di produrre vaccini universali si sarebbe disposti a scendere a patti.
Tuttavia, per quanto riguarda il vaccino, il professore ha un’ulteriore opinione. Molto distante da quelle più in voga. Che cioè non avremo mai un vaccino unico, visto che il Covid-19 muta in continuazione. “Al momento sono stati identificati 11 ceppi diversi: la linea genetica A2a sviluppatasi in Europa e quella B1 che ha attecchito in Nord America sono più contagiose del ceppo 0 originatosi a Wuhan.
Credo pertanto che, al più, si potrebbe trovare un vaccino multivalente, valido per 4-5 ceppi e in grado di coprire il 70-75 per cento della popolazione mondiale”.
Giovanni Bernardi
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