Coronavirus, si va verso una riapertura dal 4 maggio, con circolazione dentro le regioni e le ripresa di alcune attività lavorative. Ma i rischi di un eccessivo allentamento ci sono.
L’idea sul tavolo del governo è di autorizzare dalla metà di maggio la riapertura di negozi al dettaglio, in seguito bar e ristoranti. Quindi il 4 maggio queste attività dovrebbero restare ferme, eccetto però i casi di vendite da asporto e consegne a domicilio. I negozi potrebbero riaprire l’11 maggio e i ristoranti il 18.
Tra le proposte che forse verranno inserite nel prossimo decreto sul coronavirus c’è la possibilità di spostarsi anche fuori dal proprio Comune, sempre a partire dal 4 maggio. Ma non della Regione, lasciando dei limiti alla mobilità intra-regionale.
Sempre dal 4 maggio dovrebbero ripartire aziende del settore manifatturiero e delle costruzioni, insieme anche ad alcuni esercizi commerciali.
La ripartenza dalla crisi del coronavirus tuttavia dovrà essere “all’insegna della massima cautela, nella consapevolezza che si dovrà sempre tenere sotto controllo la curva epidemiologica e non farsi trovare impreparati in caso di una possibile risalita”. Cioè l’allentamento delle misure non sarà libertà totale di circolare. Dovranno poi essere rafforzati i protocolli sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, anche in relazione al trasporto e alla logistica.
Nella giornata del 30 aprile verrà svolta alla Camera un’informativa del presidente del Consiglio sulla programmazione per la ripresa delle attività economiche. La decisione sulla fase due tuttavia, ha promesso Conte, verrà presa entro sabato, dopo un ultimo confronto con le parti sociali e con il comitato di esperti.
Conte ha poi spiegato che il Governo in vista della prossima estate lancerà una campagna per incentivare le vacanze in Italia. Con l’intento di favorire il turismo nel nostro paese, con la collaborazione degli operatori del settore.
Le stime prevedono che nel momento della riapertura dei trasporti pubblici, dove saranno vigenti misure di distanziamento, si potrebbe registrare una circolazione corrispondente circa al 15 per cento della precedente.
Uno studio dell’Università di Trento, pubblicato su Nature Medicine Studi, mette però fortemente allerta sui rischi che potrebbero venire da una ripresa troppo marcata delle attività dopo la crisi del coronavirus. Il numero di decessi rischierebbe di salire fino a settantamila persone entro il primo anno di epidemia, con un ulteriore proseguimento il prossimo anno.
A meno che non venga messa in atto “una campagna a tappeto di tipo diagnostico (tamponi e test sierologici) in grado di individuare tempestivamente l’insorgenza di ogni nuovo focolaio”, spiega Giulia Giordano, che ha coordinato la ricerca.
Nello studio si afferma che le misure di allontanamento sociale adottate sono necessarie ed efficaci e che dovrebbero continuare ad essere applicate nella fase iniziale della riapertura. E il blocco potrà essere alleviato solo nel caso della presenza di test diffusi e di metodi di tracciabilità funzionanti.
Per arrivare alla fine della pandemia del coronavirus bisognerà mettere in campo strategie multiple, la cui efficacia rimane incerta. La ricercatrice e il suo team è andato oltre.
“Abbiamo pensato a possibili scenari futuri sulla base delle misure adottate. Dallo scenario in cui il lockdown viene reso ancora più draconiano – alla ‘cinese’, con limitazioni più severe degli spostamenti – fino all’epidemia il nostro modello ci suggerisce un numero di morti vicino a quello a cui siamo arrivati adesso”, spiega la ricercatrice.
“Continuare con il lockdown consentirebbe lo spegnimento dell’epidemia nel giro di qualche mese. Invece allentando le misure di lockdown ci possiamo aspettare circa 70 mila morti solo nel primo anno”.
“Il nostro modello ci dice che le misure adottate erano indispensabili e che allentarle potrebbe portare a una situazione disastrosa“.
Giovanni Bernardi
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