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Lombardia: Coronavirus, Camici e Diasorin indagato anche Fontana

L’ultima scoperta dei magistrati sulla gestione del coronavirus in Lombardia riguarda le indagini sulla centrale appaltante della Regione. Tra gli accusati illustri anche il presidente Attilio Fontana.

Il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana – foto web source

Da qualche giorno infatti il governatore Fontana è al centro delle forti polemiche legate alle due inchieste, che chiamano in causa direttamente la gestione dell’emergenza Coronavirus in Lombardia. Le accuse imputano a Fontana di essere riuscito a “trovare tempo”, tra la grave e drammatica crisi del coronavirus, di pensare a effettuare bonifici.

Le reazioni degli interessati Fontana e Salvini

Fontana si difende definendo “oscuri” i motivi per cui è stato iscritto nel registro degli indagati. L’avvocato di Fontana afferma che il “bonifico svizzero è stato un atto di solidarietà”. Per il leader leghista Matteo Salvini si tratta di un’altra operazione di “giustizia a orologeria”, e afferma che si attacca Fontana per attaccare politicamente lui e la Lega.

Già nelle scorse settimane sono stati aperti ben venticinque fascicoli a Milano sulle morti nelle Rsa. A cui si aggiungono perciò queste due inchieste rinominate “Caso camini”, riguardante cioè la fornitura dei camici. Tutto è partito con la perquisizione della Guardia di finanza nella sede di Aria Spa, ovvero la centrale appaltante della Regione.

Il leader leghista Matteo Salvini – foto web source

La ricostruzione degli inquirenti

Ed è proprio l’ex direttore generale ed ex ufficiale della Guardia di finanza, Filippo Bongiovanni ad essere stato il primo iscritto nel registro degli indagati, insieme al cognato del governatore Attilio Fontana, il titolare della Dama Spa Andrea Dini.

Nella ricostruzione degli inquirenti si afferma che a maggior la società ha stipulato un accordo con la Regione per un totale di 530 mila euro, per la vendita di 75mila camici e altri dispositivi. Alla fine, oltre tutto, dopo il fallimento dell’accordo l’azienda avrebbe lasciato alla Regione solo 50 dei 75 mila camici pattuiti, cercando di rivenderne 25 mila sul mercato ad un sovrapprezzo.

L’inchiesta nata dal servizio di Report

I primi a mettere gli occhi sulla vicenda sono stati i giornalisti della trasmissione Rai Report, e pare che subito dopo Fontana si sarebbe attivato al fine di trasformare la partita in donazione. Un fatto che testimonierebbe la conoscenza della vicenda da parte di Fontana, secondo i pm già dal momento in cui gli sono state poste le domande durante l’intervista.

Parallelamente all’inchiesta sulla vicenda dei camici, i magistrati di Pavia stanno invece indagando su un possibile accordo tra l’ospedale San Matteo e la multinazionale farmaceutica Diasorin. Relativamente alla convalida di test sierologici in cambio di remunerazioni a favore dell’istituto.

Le accuse sul caso Diasorin

Anche in questo caso l’accusa è di turbata libertà nella scelta del contraente e di peculato. I magistrati sostengono che l’istituto di ricerca abbia lasciato a un’azienda privata risorse pubbliche finite a una multinazionale farmaceutica. Garantendo inoltre pazienti e ricercatori per sperimentare i test sierologici. In cambio di royalties su ogni pezzo venduto dopo l’immissione sul mercato.

Il presidente Alessandro Venturi tuttavia rivendica l’operato dell’azienda affermando che “la ricerca in Italia è libera”. In ogni caso si tratta di un’altra triste vicenda che si aggiunge a quelle viste in questi mesi. Anche di fronte a un’emergenza drammatica come quella del coronavirus si è dimostrato come gli interessi personali e gli scontri politici non vanno mai in vacanza.

Purtroppo, alle vite umane si antepongono spesso altre priorità. A dimostrazione che non solo la cultura dell’individualismo sfrenato pervade sempre più anche le istituzioni. Ma anche che la carità e il servizio per il prossimo sono troppo spesso specchietti per le allodole. Ovvero parole di cui ci si riempe la bocca ma che si praticano ben poco.

Giovanni Bernardi

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