Il Ministero della Salute intende distinguere tra contagi nuovi e identificazione di contagi vecchi.
Con la differenza che quelli nuovi dovrebbero essere considerati “debolmente positivi” e conteggiati a parte. I dati mostrano che una quantità tra il quaranta e il sessanta per cento dei casi che si sono riscontrati dall’inizio del mese di giugno, riguardano la Lombardia. Questi pazienti però hanno avuto un riscontro positivo del tampone, ma in maniera “pienamente positiva”.
Sono cioè cittadini che hanno riscontrato l’infezione in misura maggiore rispetto a quelli il cui risultato è “debolmente positivo“. Su di questi, la comunità scientifica sta cercando di capire meglio la loro pericolosità.
Per quanto riguarda i tamponi con esito pienamente positivo, di fatto ciò che si conosce è che il virus è ben presente, e il rischio di trasmissione è di conseguenza molto elevato. Questi, all’inizio, hanno rappresentato praticamente la totalità dei casi. Oggi corrispondono all’incirca alla metà delle persone che riscontrano inizialmente la positività al tampone.
Nella maggior parte dei casi, il risultato pienamente positivo coincide anche con il fatto che l’infezione è stata contratta da poco. L’epidemiologo della task force lombarda del ministero della Salute sull’emergenza coronavirus, Vittorio Demicheli, ha spiegato che “bisogna distinguere tra contagi nuovi e identificazione di contagi vecchi”.
I contagi vecchi infatti, a differenza di quelli nuovi che vengono riscontrati attraverso la prova del tampone, gli altri sono individuabili solo con i test sierologici. Dopo il test, viene effettuato anche il tampone, per verificare nel sangue del paziente la presenza di anticorpi al coronavirus.
Così la decisione che il Ministero della Salute ha preso, dopo le richieste degli esperti, è quella di riportare i due tipi di infezioni in voci distinte. Nelle ultime settimane infatti in Lombardia, su poco meno di novecento casi, cinquecento sono emersi solo dopo il test sul sangue. Perciò è sul secondo dato che, secondo gli esperti, bisognerebbe focalizzarsi per valutare l’andamento dell’epidemia in maniera corretta.
Casi che vengono messi in evidenza solo grazie “alla ricerca attiva, al tracciamento dei contatti, alle abbondanti segnalazioni dei medici di famiglia e del lavoro, che spesso non vengono confermate”, spiega Demicheli.
Questi nuovi contagiati incontrano il virus principalmente ambito familiare, o nell’ambito della cerchia di conoscenti, che può essere anche strettissima. Basta che ci sia un caso di infezione e il gioco è fatto. I focolai che attualmente compongono la mappa epidemica lombarda, in media, sono composti da due casi.
Dopo la drammatica esperienza dei mesi scorsi, i cittadini hanno deciso di evitare assembramenti troppo numerosi, molto più che in altre regioni dove il virus ha colpito meno. Giustamente, essendo stata la Lombardia particolarmente segnata dal contagio, la paura è maggiore e le accortezze vengono prese con più facilità.
Lo stesso per quanto riguarda i controlli. In Lombardia le autorità hanno un livello di attenzione più alto. Per questo, si sta cercando di capire, più che in altre parti, come riuscire a fermare il virus. Qualcosa che approfondisca il contagio in maniera ulteriore rispetto al semplice contact tracing.
“Non tamponi a tappeto, ma mirati, nei luoghi con più probabilità di contagio“, dice De Micheli. In questo modo si dovrebbe riuscire a fare emergere in misura maggiore anche i pazienti asintomatici, visto che le infezioni continuano a verificarsi, seppure in numero minore rispetto agli scorsi mesi.
Senza contare i rischi derivati al fatto che la Lombardia è una regione dove tante persone entrano e altrettante escono, quindi dal punto di vista dei viaggi e della mobilità ci sono molti interscambi. I rischi sono perciò dietro l’angolo e non si può abbassare la guardia.
Giovanni Bernardi
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