Il Coronavirus uccide soprattutto i nonni, gli anziani con qualche patologia pregressa: questa è una delle prime cose di cui siamo stati informati.
Quelli che oggi chiamiamo “nonni” sono i figli della seconda guerra mondiale. Sono coloro che, sin da bambini, hanno dovuto abituarsi alle ristrettezze economiche, causati dai conflitti e dalla distruzione provocata dagli adulti. Sono quelli che, da giovanissimi, hanno dovuto lavorare sodo, per ricostruire un Paese sconfitto, duramente provato. Quelli che non hanno avuto possibilità di scelta, quasi mai, se non quella di andare avanti.
Ci hanno regalato un futuro migliore ed ora -in molti casi- sono costretti a morire in solitudine e -nella maggior parte di casi- ad aver paura di un virus da cui nessuno li può proteggere.
“Da questo letto senza cuore scelgo di scrivervi, cari miei figli e nipoti. L’ho consegnata di nascosto a Suor Chiara, nella speranza che, dopo la mia morte, possiate leggerla”. A scrivere è uno di quei nonni, da una residenza sanitaria assistenziale. “Mi sembrava esagerato e invece mi sono proprio ricreduto. Sembra, infatti, che non manchi niente, ma non è così. Manca la cosa più importante, la vostra carezza, il sentirmi chiedere tante volte al giorno ‘come stai nonno?’ “.
“Mi è mancato l’odore della mia casa, il vostro profumo, i sorrisi, raccontarvi le mie storie e persino le tante discussioni. Questo è vivere, è stare in famiglia, con le persone che si amano e sentirsi voluti bene e voi me ne avete voluto così tanto, non facendomi sentire solo, dopo la morte di quella donna con la quale ho vissuto per 60 anni insieme, sempre insieme”.
Spesso, quei nonni chiedono con dignità di essere accompagnati nelle cose di riposo, luogi in cui cercano serenità, ma trovano solutudine. “Nella mia vita, non ho mai voluto essere di peso a nessuno, quando ho visto di non essere più autonomo, non potevo lasciarvi questo brutto ricordo di me, di un uomo del tutto inerme, incapace di svolgere qualunque funzione”.
“Vorrei che sappiate tutti che per me non dovrebbero esistere le case di riposo, le Rsa, e quindi, ora che sto morendo lo posso dire: mi sono pentito. Se potessi tornare indietro, supplicherei mia figlia di farmi restare con vo,i fino all’ultimo respiro, almeno il dolore delle vostre lacrime, unite alle mie, avrebbero avuto più senso di quelle di un povero vecchio, qui dentro anonimo, isolato e trattato come un oggetto arrugginito”.
E, in merito a quello che sembra essere ormai il motivo scontato della sua morte imminente, aggiunge: “Questo Coronavirus ci porterà al patibolo, ma io già mi ci sentivo”, “l’altro giorno, l’infermiera mi ha preannunciato che se peggioro forse mi intuberanno o forse no. La mia dignità di uomo è stata già uccisa. Sai Michelina, la barba me la tagliavano solo quando sapevano che stavate arrivando e così il cambio”.
“Non cerco la giustizia terrena. Fate sapere però ai miei nipoti che, prima del Coronavirus, c’è un’altra cosa ancora più grave che uccide: l’assenza del più minimo rispetto per l’altro, l’incoscienza più totale. E noi, i vecchi, chiamati con un numeretto, quando non ci saremo più, continueremo da lassù a bussare a quelle coscienze che ci hanno offeso, affinché si risveglino, cambino rotta, prima che venga fatto a loro ciò che è stato fatto a noi”.
Antonella Sanicanti
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