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Coronavirus, ora si ripensi la società. Senza il culto della tecnica e dell’io

Fin dalla sua nascita, il pensiero umanistico si è sempre occupato dell’interiorità dell’essere umano, e ha sempre rivolto il suo sguardo verso Dio. 

Fin dalle origini, il pensiero umanistico ha alzato il suo sguardo verso Dio, mentre a un certo punto si è appiattito solo sul visibile. c’è il bisogno di tornare indietro per riprendere la giusta strada?

Oggi però, dalla rivoluzione moderna e illuminista, non è più così. Se la filosofia fin dall’antichità era disciplina spirituale prima che teorica, oggi il pensiero è totalmente appiattito sul materialismo dell’economia e dell’egoismo umano, fondato sul narcisismo e sull’infelicità.

La mancanza di Dio

Dalla rivoluzione scientifica in poi, per la cultura esiste quasi solamente ciò che è misurabile è visibile. La vera conoscenza però presume che, per citare l’opera di Antoine de Saint-Exupéry “Il piccolo principe”, “l’essenziale è invisibile agli occhi“.

In questo modo anche la filosofia è diventata nient’altro che un abbellimento della scienza, di cui se ne può anche fare a meno, ha spiegato la filosofa Luigina Mortari, docente dell’Università di Verona intervenuta sul quotidiano Avvenire.

photo pixabay

La cultura dell’anima

“Se il quadro di riferimento è questo, non c’è più spazio per una cultura dell’anima”, ha tristemente affermato la filosofa. In questo contesto, però, è arrivato il coronavirus e ha smosso le carte in tavola.

Portando “allo scoperto la fragilità e la vulnerabilità caratteristiche della condizione umana, il coronavirus ci costringe ad ammettere l’insostenibilità della nostra vita quotidiana così come ci eravamo abituati a strutturarla”.

La tecnica ci ha sottratti alla realtà

Facendoci comprendere che l’impostazione scientifico–tecnocratica ci ha fatto costruire “un mondo fuori dalla realtà, inconciliabile con l’ordine normale delle cose”. Incapace tra l’altro di rispondere a eventi imprevisti come un’epidemia di portata globale.

Ma tutto questo ha portato anche, in mezzo allo sconfinato dolore per le perdite di vite umane e alla sofferenza e la paura derivante dall’obbligo di restare in casa, ad effetti imprevisti di tipo positivo.

Il coronavirus ci ha riportato lo sguardo su ciò che conta

“In queste settimane le nostre società si sono trovate a guardare, finalmente, in una direzione altrimenti dimenticata“. Ad esempio, dal punto di vista sociale, a guardare nuovamente all’importanza che rivestono lavori legati al mondo della sanità, dell’educazione.

O della soddisfazione di bisogni primari sono state progressivamente marginalizzate che in precedenza avevano perso il giusto riconoscimento economico e sociale. Preso invece da beni totalmente futili quando non dannosi. L’epidemia ci ha fatto accorgere di quanto siamo carenti in questi settori.

Il coronavirus ci chiama a ripensare la società partendo dalla centralità della persona che viene solo dalla relazione con un Dio che ci ha amati fino alla morte in croce (Photo by Getty Images)

Sacrificare vite sull’altare dell’economia?

Di quanto gli stessi operatori non siano abbastanza formati, e manchino le risorse necessarie o le strutture adatte. Basta guardare al dramma delle Rsa, alla disparità tra ricoveri e lavoratori, alle condizioni vergognose e disumane in cui vengono lasciati i nostri anziani.

“Negli ultimi giorni è stata sollevata spesso la contrapposizione tra emergenza sanitaria ed emergenza economica, come se si trattasse di un’alternativa che non lascia scampo. Mettere in salvo vite, si sostiene, non può andare a discapito della dignità della vita.

Coronavirus, ripartire dalla centralità della persona

Ma la prospettiva cambierebbe in modo radicale se scegliessimo di mettere al centro dei processi decisionali un altro concetto, quello della buona qualità della vita“, spiega la filosofa.

Il Coronavirus ha mostrato tutte le nostre carenze sociali, ad esempio nel trattamento vergognoso che molti anziani ricevono nelle Rsa (photo websource)

Ripartire cioè dalla centralità della persona, perno della Dottrina sociale della Chiesa che si origina dalla relazione privilegiata con un Dio creatore che si è fatto uomo e che ha sofferto tutte le nostre miserie fino alla croce, per rivelarci la strada della Redenzione.

Coronavirus, guardare all’amore di Dio per i suoi figli

Grazie all’amore sconfinato che prova per i suoi figli, nonostante la libertà di continuare a peccare dimenticandoci di Lui.

La politica, le istituzioni, chi agisce nel sociale, ognuno di noi, dovrebbe perciò ora più che mai, e a partire da questo periodo difficile, ritornare alla vita con uno sguardo diverso e con valori rinnovati.

Uscire dalla crisi del Coronavirus donandoci al prossimo

In cui ci si accontenta dell’essenziale e si fa dono del superfluo, che è fatto innanzitutto del nostro amore e della nostra disponibilità a farci prossimi e vicini. Non può più essere la tecnica e l’io egoistico e narcisistico a dominare la società e quanto accade intorno a noi.

C’è bisogno di una visione dell’uomo che sia imperniata sulla centralità di un Dio che ci ama fino al martirio e non ci abbandona mai, ma che ci chiede di amare e lasciarci amare, donando tutti noi stessi proprio come Lui ha fatto per noi.

Giovanni Bernardi

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