Tra le pieghe del coronavirus, la degenerazione della cultura della morte si mostra in tutta la sua brutalità. Con il suicidio assistito online.
In questi mesi la pandemia ha reso più difficile l’accesso fisico alle strutture mediche, e molti ospedali hanno ripiegato su un accorciamento dei tempi di accesso con prescrizioni e colloqui online. Lo stesso, purtroppo, è stato applicato anche per le richieste di eutanasia.
American Clinicians Academy on Medical Aid in Dying è il nome di un’associazione di medici che assistono i suicidi. Questi a marzo hanno pubblicato delle linee guida che consentono ai dottori di fornire nientemeno che suicidi assistiti via internet.
Per compiere questo gesto, ci si limita a una semplice analisi delle cliniche su Zoom o Skype. Poi un secondo colloquio al telefono. Non servono visite di alcun tipo sul corpo del paziente, né tanto meno incontri di persone. Insomma, ci si basa sulla fiducia. Così, la domanda che fa rabbrividire: se il paziente vuole suicidarsi, perché negargli questa possibilità?
Si tratta di una visione fortemente estrema e drammatica della telemedicina a cui questi medici possono accordare l’eutanasia anche a pazienti che non hanno mai visitato, e di cui non conoscono nulla. Perfetti sconosciuti, di cui si ignora l’intera storia familiare o personale, a cui si può prescrivere la morte con un click. Basta avere una connessione a internet.
Ci sono già stati casi illuminanti. Come quello di Mary Jane Sturgis. Con il coronavirus, questa donna ha cominciato a temere di dover essere ricoverata perché infetta. Così ha deciso di rimuovere il problema alla radice, discutendo online con la dottoressa Sardanopoli, come riportato sul New York Times, del desiderio di mettere fine alla propria vita.
Il colloquio durò mezz’ora e venne svolto su Facetime. La donna ha affermato: “Sapevo quello che volevo, e lei ne era completamente rispettosa. Subito dopo mi sono sentita meglio e più serena”. La professoressa associata di antropologia all’Università di Brandeis Anita Hannig, nel Massachusetts, nello spiegare che i suoi pazienti “adorano la telemedicina”, ha sottolineato che lo stesso vale nell’ambito dell’assistenza al suicidio.
Non viene contattato nemmeno il medico di base di questi pazienti che desiderano un suicidio assistito. Una realtà che fa rabbrividire. La legge infatti non prevede al momento della morte la presenza di un medico o di un operatore sanitario. Basta che la richiesta venga valutata in modo indipendente, e si passa direttamente alla preparazione del cocktail letale: un composto a base di quattro farmaci, da miscelare con acqua o succo.
Spesso viene chiesta la somministrazione a un medico o a un volontario esterno. Questi dovranno sorvegliare che il paziente ingerisca tutto. E che le sue ultime volontà vengano rispettate, nel caso in cui la famiglia decida di intromettersi in questa pratica orripilante e disumana.
“Molte famiglie mi hanno detto che preparare il cocktail letale le avrebbe fatte sentire come se stessero facilitando – e non solo sostenendo moralmente – la morte di una persona cara”. Insomma, le famiglie non hanno ora alcun tipo di scelte, perché l’emergenza sanitaria del coronavirus impedisce che ci siano troppi incontri.
L’unico ruolo che può avere è che quello di miscelare il cocktail mortale e somministrarlo. Non si può opporre alla morte di un parente, al massimo lo può uccidere. La vergognosa degenerazione della cultura moderna rende reale ciò che al solo pensiero lascia sgomenti. Il delirio collettivo delle libertà individuali è giunto a livelli umanamente impensabili, e sarà l’umanità intera a pagare caro tutto questo.
Si è spesso creduto che il rispetto del quinto comandamento, “Non uccidere” (Es 20,13), fosse una questione riguardante le guerre, i delitti scaturiti da odio, rabbia, interessi. Oggi si uccide negli ospedali, con i guanti di lattice e il camice da medico. Ci si ammanta della parola “medicina”, contro il Giuramento di Ippocrate che ne è invece il fondamento.
Giuramento, prestato dai medici-chirurghi e odontoiatri prima di iniziare la professione, in cui si recita: “Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo”.
In un articolo, la dottoressa Hanning spiega che tutto questo “consentirà alle persone morenti realizzare il proprio desiderio di scegliere tempi e modalità per morire con la certezza di non essere lasciati soli”. Le piattaforme di suicidio interattivo assomigliano ormai più a semplici prodotti di intrattenimento che a delle agenzie di morte.
Sempre più spesso ci si accorge che dietro queste pratiche crescono i casi acclarati di abusi e che il numero di richiedenti il suicidio assistito cresce sempre di più, incrementando un vero e proprio mercato della morte. In numerosi Stati si stanno portando avanti proposte di legge per legalizzare o liberalizzare il suicidio assistito.
Il bioeticista del Discovery Institute Wesley J. Smith ha spiegato che “una volta che consideriamo il suicidio come una risposta adeguata alla sofferenza causata dalla malattia o dalla disabilità, i nostri atteggiamenti verso la morte diventano così deformati che ottenere il suicidio, soddisfare la richiesta dei pazienti, diventa rapidamente la priorità principale”.
Giovanni Bernardi
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