Card. Ravasi: ” se il primo lockdown per alcuni è stata l’opportunità di una pausa dalla frenesia del mondo, per molti ora i problemi sono solitudine e isolamento”.
Nella situazione del primo lockdown, quello di marzo, il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio per la cultura e del “Cortile dei gentili”, vi ha intravisto degli elementi positivi dal punto di vista umano e anche spirituale. “Un elemento positivo del primo lockdown è stato riuscire a rimanere un po’ più fermi”, ha spiegato.
In un’intervista pubblicata sul Corriere della Sera, il cardinale ha così approfondito la questione specificando che si tratta dell’importante tema “della meditazione” e “del ritrovarsi”, in un mondo sempre più frenetico, caotico e scristianizzato. Dove solo il denaro e l’essere funzionali al sistema produttivo sembra avere importanza. Mentre l’essere umano in quanto tale diventa sempre più un argomento secondario, e una possibile vittima della cultura dello scarto.
“La solitudine permette lo spazio della riflessione rispetto alla concitazione della vita quotidiana”, ha continuato Ravasi. Durante il lockdown, infatti, “si è elaborato il rapporto con la morte, improvvisamente comparsa come elemento fattuale, non come rischio lontano”.
Da questo punto di vista, è stata infatti di fondamentale importanza simbolica la sera del 27 marzo, quando Papa Francesco parlò al mondo, in silenzio, di fronte a una Piazza San Pietro deserta. Lì si è infatti riscoperto il bisogno degli altri, del prossimo. E dell’Altro con la maiuscola, ovvero Gesù Cristo, il Salvatore dell’umanità.
Tuttavia, ora c’è bisogno di darsi da fare per scongiurare il peggio. “Bisogna ricostruire un vivere sociale, un’idea di comunità come alternativa alla solitudine e, peggio, all’isolamento”, è quanto sostiene il cardinale. “Oltre il cibo, del fisico o della mente, c’è la relazione diretta, quella umana, quella fatta di pelle e parole. La visita agli ammalati, la lotta tenace contro l’isolamento delle persone è forse il compito delle persone di buona volontà, in questo tempo caotico“.
Il religioso ha infatti riflettuto sul tempo in cui stiamo vivendo, con una messa in sicurezza sempre più stringente delle nostre vite. In cui gli unici termini che fanno da padrone nel dibattito pubblico sono “distanziamento sociale“, “assembramento”, “lockdown”. “Il distanziamento genera, alla fine, lontananza e sospetto nei confronti dell’altro”, ha affermato Ravasi.
“Distanziati si vive male. E per quanto sia necessario in questo momento noi dobbiamo alimentare la speranza di un ritorno alla normalità delle relazioni umane e intanto alimentare questa fase di ascolto, incontro, parola”. Ravasi ha spiegato che tutto questo vale anche e soprattutto per la Chiesa. “Ho provato a celebrare messa in collegamento ma è un’altra cosa, non è più l’assemblea calorosa, il ritrovarsi”, ha raccontato.
Ragionando sull’etimologia delle parole, infatti, nell’Antico Testamento gli ebrei definivano il tempio “la tenda dell’incontro”, “Dell’incontro con Dio e con gli altri”, spiega Ravasi. Mentre l’assemblea riunita veniva definita “convocazione”, che i greci hanno tradotto con “Ekklesia, chiamati insieme. La Chiesa è doppio incontro, con Dio e con gli altri“.
Il cardinale ha poi concluso la sua riflessione affrontando il tema della scienza. Dalla genetica, “con l’intervento sulla flessibilità del Dna che certo aiuta, ed è una meraviglia dell’uomo per l’uomo, a combattere patologie terribili ma, al tempo stesso, può postulare la possibilità di creare un nuovo fenotipo antropologico”.
Alle neuroscienze, fino all’intelligenza artificiale. “Lungo quali direttrici si va affermando l’autocoscienza delle macchine?”, è la domanda posta dal cardinale, che ha messo in guardia dal pericolo di cui parlava lo psicologo Erich Fromm. “Il pericolo del passato era che gli uomini diventassero schiavi. Il pericolo del futuro è che diventino robot“, diceva infatti Fromm.
La conclusione del cardinale, in tutto ciò, è che “la questione della rete in cui è avvolto tutto il globo è il vero mutamento del modello antropologico, perché cambiano i codici di conoscenza e relazione”. La rete, ha concluso Ravasi, “poteva diventare uno straordinario strumento di democratizzazione ma ora è stata sequestrata dalle mega corporation che inducono linguaggi e comportamenti. Un sistema di dominio che è anche etico e morale“.
Giovanni Bernardi
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