Il professore Remuzzi: nei dati sul coronavirus finiscono persone positive al tampone ma che non hanno ricadute nel mondo reale.
Giuseppe Remuzzi, Direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, conversando con il Corriere della Sera, alla domanda se richiudere o meno la Lombardia, risponde: “ma per carità”. “L’Istituto superiore della Sanità e il governo devono rendersi conto di quanto e come è cambiata la situazione da quel 20 febbraio ormai lontano”, spiega.
Remuzzi: si rischia di diffondere paura ingiustificata
“Devono comunicare di conseguenza. Altrimenti, si contribuisce, magari in modo involontario, a diffondere paura ingiustificata”. Si parla in queste ore di una media giornaliera del 70/80 per cento di nuovi contagi. Remuzzi risponde: “bisogna spiegare cosa sta succedendo alla gente”.
Il medico ha spiegato infatti che “ci sono casi di positività con una carica virale molto bassa, non contagiosa. Li chiamiamo contagi, ma sono persone positive al tampone. Commentare quei dati che vengono forniti ogni giorno è inutile, perché si tratta di positività che non hanno ricadute nella vita reale“.
Remuzzi: la gestione del coronavirus è troppo burocratica
Tutto ciò dimostra che il numero dei nuovi casi “può riguardare persone che hanno nel tampone così poco Rna da non riuscire neppure a infettare le cellule”. Una condizione molto diversa da quanto accadeva all’inizio dell’emergenza coronavirus. “A contatto con l’Rna dei veri positivi, quelli di marzo e inizio aprile, le cellule invece morivano in poche ore”.
Remuzzi ha spiegato che, a differenza dei casi lombardi, in Veneto il professor Crisanti abbia gestito bene la situazione, “agendo subito e con decisione”. Remuzzi ha cioè spiegato che in questo momento la gestione del coronavirus “sta andando avanti in modo burocratico con delle regole che non tengono conto di quello che sta emergendo dalla letteratura scientifica”.
Remuzzi: non tutti i positivi contagiano gli altri
Ma alla domanda se il medico è preoccupato o meno sui nuovi casi registrati in Lombardia, risponde: “no, se sono positivi allo stesso modo di quelli della nostra ricerca, ovvero con una positività ridicolmente inferiore a centomila. Perché non possono contagiare gli altri”.
“Il virus è lo stesso, certo”, ha spiegato. “Ma per ragioni che nessuno conosce, e forse per questo c’è molta difficoltà ad ammetterlo, in quei tamponi ce n’è poco, molto meno di prima. E di questo va tenuto conto”.
Lopalco: il tampone non basta per capire il rischio
Ma se il prof. Remuzzi pensa che i dati sono molto incoraggianti e lasciano pensare che i rischi siano piuttosto bassi, non tutti sono d’accordo. Alcuni, come i prof. Bassetti e Lopalco sono d’accordo con lui, altri, come Harari, invitano alla cautela.
L’epidemiologo dell’Università di Pisa Pierluigi Lopalco ha cioè spiegato che quando la carica virale è basse, è probabile che si risulti poco contagiosi. “Abbiamo dei tamponi positivi ma non significa che abbiamo persone con un’alta carica virale che possano portare a nuove catene di contagio. Con il semplice tampone non sappiamo se si tratta di un residuo di RNA non più pericoloso o virus ancora vitale. È difficile identificare un unico standard per misurare la carica virale”.
Il medico Harari invita alla calma: positivi non contagioso? Pericoloso
Il direttore di Malattie infettive al Policlinico San Martino di Genova ha infatti spiegato che, ora che si è entrati nella fase tre, non basta dire se si è positivi o meno. Ma bisogna specificare quanto. “Nella fase 3 non basta più dire se c’è o non c’è il virus ma va specificata la quantità di virus altrimenti è come fare un’urinocoltura senza dire quante colonie di batteri ci sono”.
Il direttore dell’Unità Operativa di Pneumologia all’ospedale San Giuseppe di Milano Sergio Harari però non ci sta, e spiega che a suo avviso bisognerebbe rimanere più cauti. “È pericoloso far passare il messaggio che i soggetti positivi non siano contagiosi. Può forse succedere per un sottogruppo di pazienti nei quali le tecniche diagnostiche molto sensibili riconoscono parti di RNA virale quando il virus non ha più significato clinico, ma generalizzare è un azzardo. I focolai in Germania, a Pechino e in Lazio inducono a cautela”, afferma.
Zangrillo: allo stato attuale in Italia il virus non produce malattia
Totalmente d’accordo con le parole di Remuzzi è invece il pro rettore dell’ospedale San Raffaele di Milano Alberto Zangrillo. “Il dato più importante è quello che deriva dalla clinica: allo stato attuale in Italia il virus non produce malattia e lo dico da fine aprile”, sostiene Zangrillo.
“Cercare di calcolare la carica virale standard sotto la quale non sei contagioso lo considero un esercizio inutile semplicemente perché le cariche virale in circolo non sono in grado di contagiare e spero che non diventi argomento di dibattito tra virologi”. Per questo, a giudizio di Zangrillo, non è affatto facile pensare di creare politiche differenti in base alla carica o meno del virus.
“La carica virale cambia di giorno in giorno e quando facciamo un tampone non sappiamo a che punto è l’infezione, se il soggetto è stato appena contagiato o in via di guarigione“.
Giovanni Bernardi
fonte: corriere.it
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