A causa del dilagare dell’epidemia Coronavirus, siamo stati costretti a rinunciare ad ogni “incontro” che si sarebbe svolto nelle nostre Chiese.
A quanti importa davvero che anche la Chiesa abbia disposto di non celebrare più nemmeno la Santa Messa pubblicamente? Del resto, non tutti quelli che si dicono cristiani adempivano al dovere di presentarsi alla celebrazione eucaristica, almeno la domenica, né di stare attenti durante ogni momento del rito. Ci stiamo davvero rendendo conto di ciò di cui si privano i seguaci di Cristo -tiepidi e non- in questa anomala situazione?
Coronavirus: la Quaresima nelle nostre case
Questo è il tempo liturgico più forte di tutto l’anno. E’ Quaresima, il tempo che ci conduce alla Passione di Cristo. Stiamo perdendo l’occasione di ricordarne ogni momento, di chiedere a Dio di liberarci da ogni tentazione, di ripulirci da ogni peccato, nella Confessione, e di cibarci dell’Eucarestia, senza la quale il nostro vivere per Cristo si riduce davvero a “cose” di poco conto.
Certo, possiamo farlo via streaming, ma non è esattamente la stessa cosa, perché la fede ha bisogno di un rapporto diretto con Dio, tramite le guide spirituali, i pastori. Ha bisogno di mostrarsi nelle Opere di Misericordia, molto limitate in questo tempo di isolamento. Basti pensare che siamo impossibilitati anche nel dare l’ultimo saluto ai nostri defunti, di accompagnarli al cimitero!
Quanti di noi avrebbero vissuto quei momenti con reale partecipazione e non meccanicamente? Riflettiamo su questo, altrimenti sarà inutile cercare una preghiera per risollevarsi dall’angoscia di questi giorni casalinghi senza fine. Gesù accoglie le invocazioni di chiunque gli parli a cuore aperto. Questo tempo ci induca, dunque, ad un serio esame delle coscienze e a rivedere il nostro irresponsabile comportamento, le nostre tante mancanze, di fronte ad un Cristo che muore per salvarci.
Se, invece ci stiamo chiedendo, da giorni e giorni, come siamo arrivati a tutto questo; se eravamo indegni di ciò che avevamo e che abbiamo sicuramente sottovalutato, non stiamo sbagliando affatto.
“Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa”
“Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa: ma dì soltanto una parola e io sarò salvato”. Questa era la frase che, quasi alla fine della celebrazione eucaristica, ripetevamo. Era il momento in cui percorrevamo la “via” che porta all’altare, per cibarci del Corpo di Cristo, immolatosi per noi, un attimo prima. Anche se esiste la comunione spirituale, cibarsi realmente di Cristo è impagabile. Dovrebbe mancarci, oggi, come l’aria che respiriamo. Quella stessa che non è più tanto salubre come vorremmo, ma viziata e consumata nella nostra abitazione.
Le preghiere solitarie o le celebrazioni in Tv, sono un utile palliativo, per ora, ma, quando il Coronavirus sarà debellato, dovremmo essere pronti a correre nelle nostre Chiese, con la rinnovata consapevolezza di aver capito quanto ci è mancato.
L’attimo in cui ci ciberemo ancora di Cristo, dopo il Coronavirus
In attesa di quel giorno, ripensiamo fiduciosi proprio al significato di quel percorso verso l’altare e cerchiamo di esserne grati. In quel momento della celebrazione eucaristica, abbiamo recitato il Padre Nostro, ci siamo scambiati il segno della pace con gli altri fedeli. Poi, quando il sacerdote mostra l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, noi ci dichiariamo, indegni di usufruire di un tale riscatto, di essere salvati; incapaci di ricevere il Cristo vivo dentro di noi.
In realtà, diciamo una grande verità, poiché nessun essere umano potrà mai essere in grado di salvarsi con le proprie forze. Noi tutti ci salveremo -se ci salveremo- per grazia di Dio e non di certo per i nostri esigui meriti. Lo abbiamo sentito dire tante volte, ma senza renderci conto della precarietà della vita terrena e della nostra impotenza di fronte ad uno “starnuto” che si sta rivelando micidiale.
La frase suddetta è citata e decisa dall’Ordinamento Generale del Messale Romano, che spiega: “Il sacerdote mostra ai fedeli il pane eucaristico … invita al banchetto di Cristo … insieme con loro esprime sentimenti di umiltà, servendosi delle prescritte parole evangeliche”.
La Chiesa, dunque, in risposta alle parole del sacerdote, pone quelle del Centurione romano di Cafarnao: “Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito”.
Quella volta, Gesù intervenne per guarire il servo, per l’estrema e sentita umiltà e fede del Centurione che a lui si affidò, completamente e senza riserve. Gesù, infatti, meravigliato per quelle parole, sottolineò davanti ai presenti: “In verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande”.
Cristo potrà dire di noi la stessa cosa quando, liberandoci dal pericolo imminente, ci darà ancora la possibilità di recarci all’altare per cibarci di lui?
Antonella Sanicanti
Segui tutte le nostre News anche attraverso il nuovo servizio di Google News, CLICCA QUI