Un’importante scoperta che farà molto discutere. Nelle aree in cui sono rimaste aperte le fabbriche nonostante il lockdown, la terra ha continuato a tremare.
A differenza di tutto il resto d’Italia, dove con il blocco delle attività produttive il rumore sismico prodotto dall’uomo si è annullato. Il blocco dovuto alla crisi del Coronavirus, in parallelo al mancato fermo delle attività industriali, ha così di fatto avuto importanti ripercussioni sui sismografi dell’Istituto Italiano di Geofisica e Vulcanologia.
Sarebbe infatti accadute che in alcune zone d’Italia i ricercatori hanno rilevato un continuo rumore sismico. In particolare, in quelle di maggiore industrializzazione in cui vi sono quelle attività ritenute dal Governo “strategiche” durante la pandemia. A differenza di tutto il resto d’Italia. Dove nel periodo di cessazione delle attività industriali il “rumore sismico di origine antropica” ha fatto registrare un’importante riduzione.
Lo spiega lo studio, pubblicato sulla rivista ‘Scientific Reports’ di Nature, intitolato “COVID-19 lockdown and its latency in Northern Italy: seismic evidence and socio-economic interpretation”. A condurre la ricerca, che ha richiesto sei settimane di lavoro, un gruppo di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e del Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Ferrara (DEM-UNIFE).
Il periodo interessato dallo studio è stato quello che ha preceduto il lockdown, nel quale è stato definito uno standard di riferimento. Poi le successive quattro settimane, in cui hanno avuto luogo le misure di emergenza sanitaria, in cui si sono limitati gli spostamenti e chiuse le attività produttive e commerciali.
Il ricercatore dell’INGV Davide Piccinini, primo autore dello studio, ha spiegato che “abbiamo potuto osservare, in alcune aree, una repentina diminuzione del rumore sismico di origine antropica che, tuttavia, non mostrava una distribuzione omogenea sul territorio, evidenziando differenze macroscopiche tra le diverse stazioni esaminate”.
Una volta incrociati tutti i dati disponibili, tra cui quelli dell’andamento del rumore sismico in relazione sull’andamento del rumore sismico, si è quindi notata l’assenza diminuzione del rumore in quelle aree dove le fabbriche sono rimaste aperte durante le settimane di lockdown.
I ricercatori, attraverso l’elaborazione di mappe 2D, hanno trovato un andamento ricorrente di queste “discrepanze”. “In alcune aree della Pianura Padana, ad esempio, vi erano gruppi di stazioni sismiche che mostravano la stessa ‘anomalia’. A indicare un fenomeno significativo”, ha spiegato Marco Olivieri, ricercatore dell’INGV e co-autore dell’articolo.
Così sono entrati in campo alcuni economisti per provare a elaborare i dati a disposizione. Che hanno evidenziato l’importante correlazione tra la presenza di distretti produttivi attivi nelle settimane di lockdown e la continuazione del rumore sismico prodotto dalle attività umane.
Giorgio Prodi e Federico Frattini, docenti del Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Ferrara e coautori dell’articolo, hanno così spiegato che “non è stato semplice combinare tra loro basi informative e ambiti scientifici così diversi”. In quanto “è piuttosto insolito trovare in letteratura studi realizzati dalla collaborazione di sismologi ed economisti“.
Giovanni Bernardi
Fonte: Agi
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