Cosa abbiamo imparato da questi due mesi di chiusura per il coronavirus?
Lo smart working ha colonizzato le giornate di chi ha potuto lavorare in casa, ci siamo impegnati nel riflettere sulle nostre vite, passate e future, e nel frattempo le giornate scorrevano. Ci siamo concessi più tempo per il riposo, per svegliarci più tardi, per fare le pulizie.
Il tempo passato con i bambini o in fila al supermercato è stato più lungo del solito, e così anche tutti i propositi che ci eravamo immaginati sono stati messi da parte. Lezioni di lingue orientali, corsi di fitness, formazione innovativa. La lettura di quel romanzo che volevamo leggere da tempo. La visione di quella serie che tutti gli amici hanno visto e consigliano.
Tutto è saltato. Ma di certo abbiamo avuto tutto il tempo necessario per la preghiera, e siamo ben certi che quello non è stato tempo perso. Interessante ascoltare le versioni di alcuni personaggi pubblici, interpellati dall’agenzia Agi.
La giornalista conduttrice di Agorà Serena Bordone ad esempio ha spiegato: “Lo smart working mi ha permesso di staccare molto poco, ma è anche vero che essendo io un’ottimista pervicacemente ostinata a prendere il meglio della vita non ho voluto programmare nulla: la vita ti regala dei pomeriggi in cui non sei costretta a girare, vedere, socializzare e ti imponi dei compiti?”
L’attrice e conduttrice Carla Signoris invece ha confessato che dopo i primi buoni propositi ginnici, ci ha rinunciato. “Volevo fare ginnastica, invece niente perché a un certo punto mi sono data alle torte, io che ai fornelli sono un mezzo disastro. La ginnastica, insomma ,me la sono mangiata”.
Per lo scrittore Federico Moccia, il virus si è presentato quando era in vacanza. “Mi ero appena iscritto in palestra – racconta – e quando hanno chiuso tutto avevo deciso che avrei fatto comunque ginnastica a casa e invece niente neanche una flessione”. Nel frattempo, c’è stato anche il tempo per il riordino degli scatoloni. “C’erano ricordi, molti dei quali dimenticati, accumulati dai miei 18 anni ai 27 è stato come aprire un uovo di Pasqua, l’ho trovato terapeutico”.
Il conduttore televisivo Marco Liorni ha invece confessato che tutti i buoni propositi sono andati in fumo con il lavoro da remoto. “Da casa si finisce per lavorare il triplo, perché le cose non sono mai chiare, ognuno ha orari diversi, quasi un fuso orario personalizzato, diventa tutto complicato” racconta.
I nostri bimbi, i familiari, le persone con cui abbiamo passato questa quarantena, sono state sicuramente piene di gioia nel condividere con noi momenti casalinghi, in orari che magari prima erano quasi proibitivi. Nel sorridersi a vicenda o dividere i momenti di silenzio, di riflessione, di lettura.
Magari ci siamo fatti vedere in preghiera davanti alla tv anche se prima ce ne vergognavamo. Magari siamo riusciti finalmente a recitare un Padre Nostro insieme, ad accendere la tv insieme nel momento del Rosario, così che le nostre case sono diventate piccole chiese domestiche. magari abbiamo semplicemente realizzato quali sono, in realtà, i nostri atteggiamenti quotidiani, anche se stentiamo di vederli realmente.
Giovanni Bernardi
fonte: agi.it
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