“C’è stata un’accelerazione importante, ma ovviamente serve tempo e rigore, per valutare l’efficacia dei possibili vaccini. Non bisogna farsi prendere dalla fretta”.
Lo ha spiegato la direttrice del laboratorio di virologia dell’ospedale Spallanzani di Roma, Maria Capobianchi.
Sono diversi i risultati positivi raggiunti in questi giorni nell’ambito medico-scientifico. In diversi centri di ricerca internazionali di stanno compiendo le prime sperimentazioni legata a possibili vaccini, e fin da subito i laboratori di diversi ospedali sono riusciti ad isolare il virus. Tra questi, lo Spallanzani è uno degli istituti che in Italia vive in prima linea la lotta alle malattie infettive. Qui fin da subito i medici hanno isolato il Sars- Cov2 del primo paziente riscontrato nel nostro paese.
La dottoressa ha raccontato la vicenda in un libro intervista, intitolato “Coronavirus” e pubblicato da Castelvecchi. In cui ha spiegato come ognuno di noi può combattere la malattie, smentendo le notizie false che sono state date a proposito, e come si può riuscire a realizzare dei vaccini contro il virus.
La situazione infatti è in continua evoluzione, e la dottoressa non ha nascosto che per molti aspetti si naviga a vista, “nel senso che è necessario adattarsi velocemente agli avvenimenti”. La collaborazione internazionale cerca di fare la sua parte, specialmente per ciò che si chiama “Epidemic Intelligence“, ovvero la ricerca di informazioni che possano far presagire segnali di allarme dovuti alla malattia e alla sua diffusione tra la popolazione.
Il termine pandemia non deve spaventare, perché riguarda non l’intensità della malattia ma la sua diffusione. Quindi possono esistere anche pandemie ma di virus non pericolosi. Mentre invece per quanto riguarda l’utilizzo di farmaci usati per trattare altre infezioni, ovvero quello che si chiama “uso compassionevole“, è necessario partire da una base scientifica plausibile. Ma ci sono diversi farmaci che possono risultare utili, come quelli giù utilizzati per l’HIV, gli inibitori delle proteasi, o per Ebola, che “potrebbero inibire anche l’enzima che replica il genoma del coronavirus”.
Ma in questi giorni si è parlato molto di un farmaco usato per l’artrite reumatoide, che ha avuti risultati positivi su alcuni pazienti, in particolare a Napoli. Sono farmaci host directed, spiega la dottoressa, che “non agiscono sul virus ma sulla risposta dell’organismo”. Perché “l’ipotesi è che in alcuni casi la risposta difensiva dell’organismo possa essere eccessiva, contribuendo ad aggravare la malattia”. Che spiegherebbe la ragione per cui anche giovani talvolta vengono colpiti. I farmaci per l’artrite quindi non bloccano il virus ma inibiscono l’eccessiva risposta del sistema immunitario, che può creare effetti negativi.
Gli anziani tuttavia sono i più colpiti perché, come per qualsiasi malattia respiratoria, il rischio maggiore è per i soggetti fragili o cardiopatici, con insufficienza respiratoria. Mentre per il fatto che le donne siano meno colpite, non ci sono ancora risposte unitarie ma solo ipotesi. Che contemplano l’incidenza di fattori ormonali, metabolici, di stile di vita o di sistema immunitario.
Ciò che è conosciuto è che il virus colpisce l’apparato respiratorio, quindi entra nel corpo da naso e bocca. Il contagio può avvenire dalle goccioline emesse dalle persone che tossiscono, starnutiscono o parlano vicino a noi, oppure toccando oggetti contaminati. A questo serve il lavarsi le mani spesso, e l’uso delle mascherine.
Ma finché non verranno prodotti vaccini contro il virus, non si potrà uscire definitivamente da questo periodo buio. Preghiamo tutti insieme perché i medici e i ricercatori riescano finalmente a fare questo ultimo passo. E che possano arrivare a tutti noi i vaccini necessari a debellare questo virus.
Giovanni Bernardi
Fonte: repubblica.it
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