Adriano Trevisan, deceduto lo scorso venerdì, è la prima vittima italiana da coronavirus. Sua figlia Vanessa rivendica il proprio dolore: “basta ricordarlo solo come un numero”.
Non siamo numeri, ma persone. Questo è il forte messaggio che Vanessa, figlia di Adriano Trevisan, deceduto venerdì scorso all’ospedale di Schiavona, ha voluto ribadire. Adriano, oltre ad essere la prima vittima italiana da coronavirus, era padre, amico, ex collega e nonno. Il dolore che si prova quando si perde una persona cara è forte e può amplificarsi in modo esponenziale se tutto si riconduce a un’etichetta, un numero, dimenticandosi della persona.
Un “leone allegro”, così Vanessa ha definito la gioiosa personalità di suo padre Adriano. «A 78 anni era autosufficiente, guidava la macchina e usciva da solo. Nessuno in paese lo chiamava Adriano, per tutti era “il moro” per via della sua carnagione scura. Quand’era giovane ha fondato con 4 amici una ditta edile con decine di dipendenti, ha costruito mezza provincia di Padova. Appassionato di musica lirica, andava all’Arena di Verona a vedere i concerti. Non andava in gita, non andava in Chiesa o alle bocce, gli piaceva pescare, ecco: quello era il suo vero hobby» (fonte: la Repubblica).
Ma ciò che ferisce di più, nel cuore dei familiari, è il fatto che Adriano sia guardato principalmente come un numero, per l’appunto la “prima vittima del contagio”, celando l’uomo, con i suoi affetti e le sue emozioni. Il dolore di Vanessa si manifesta nelle sue parole: ciò che disturba di più è «che sia diventato una cifra. Vittima numero uno del coronavirus. Poi ci sono stati il due, il tre, il quattro… e hanno detto: “però era vecchio”, come se la sua età dovesse attenuare il dolore che provo, come se la sua scomparsa fosse meno importante».
Le condizioni cliniche di Adriano Trevisan erano rese precarie da diverse patologie preesistenti, patologie legate all’apparato cardiocircolatorio. Sua figlia Vanessa ha dunque precisato che è vero che il coronavirus è stato letale, ma a renderlo tale è stato il concorso di una debilitazione generale, dovuta a tali patologie pregresse.
Nel dolore profondo che si prova con la perdita di una persona cara, non dimentichiamoci mai dell’amore e della misericordia di Dio. Anche la persona più abbandonata di questo mondo, mai sarà abbandonata da Dio, la cui devozione per le sue creature è infinita. Dio non si dimentica (e non abbandona) neanche chi di lui si è dimenticato in parte della sua vita terrena. Il messaggio di Vanessa ci invita dunque a riflettere: non dobbiamo dimenticare che dietro il “caso” e il numero ci sono persone, con i loro affetti e le loro battaglie.
Fabio Amicosante
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