Continua l’opera di riforma di Papa Francesco, che coinvolge anche le finanze del Vaticano, nella direzione della “Chiesa povera e per i poveri”.
Una condizione da lui auspicata fin dall’inizio del suo Pontificato. Cioè con la scelta del nome di San Francesco, il poverello di Assisi.
La notizia stavolta riguarda la rete di holding svizzere creata in Vaticano nel 1929, dopo i Patti Lateranensi firmati con Benito Mussolini. Papa Francesco ha deciso di smantellarla, dopo che questa ha sopravvissuto a ben sette papi, con un riassetto di fatto storico, che potrebbe valere centinaia di milioni di euro.
Questi investimenti rappresentano una parte del patrimonio estero dell’Apsa, l’Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica, vale a dire la banca centrale del Vaticano, guidata dall’ex segretario della Cei, monsignor Nunzio Galantino. L’operazione voluta da Papa Francesco, in cui sono state chiuse nello stesso momento nove società immobiliari e finanziarie di Losanna, Ginevra e Friburgo, si è così conclusa pochi giorni fa.
Questa rientra a pieno titolo nell’operazione di razionalizzazione voluta dal Papa per rispondere all’emergenza del coronavirus. Nei palazzi dello Stato della Città del Vaticano da tempo ormai si parla di “inevitabile recessione economica”. La spending review cominciata in Vaticano con l’arrivo di Papa Francesco ha toccato, in tempo di crisi sanitaria, le scelte compiute in passato in materia di politica finanziaria.
Il Corriere della Sera scrive che stando agli attuali prezzi di mercato, le holding potrebbero corrispondere a un valore di centinaia di milioni di euro, contro un valore stimato di circa 44 milioni di euro. Il patrimonio di queste società immobiliari e finanziarie è stato trasferito nella holding più antica, la Profima Société Immobilière et de Participations di Ginevra, fondata nel 1926 per volere di Pio XI.
I capitali in questione provengono dall’indennizzo che alla firma dei Patti Lateranensi venne indirizzato allo Stato della Città del Vaticano, per il territorio dell’ormai ex Stato Pontificio annesso al Regno d’Italia dopo la breccia di Porta Pia. All’epoca, 750 milioni di lire in contanti e un miliardo in buoni del Tesoro al 5 per cento. Che oggi riguarda immobili, terreni e investimenti liquidi, attualmente confluito in Profima.
Intervistato dai media vaticani, il nuovo prefetto della Segreteria per l’economia, il gesuita padre Juan Antonio Guerrero Alves, ha spiegato che le stime fatte recentemente parlano di una diminuzione delle entrate tra il 25 e il 45 per cento per via del coronavirus. Considerato che al momento non è possibile valutare se ci saranno o meno diminuzioni delle donazioni all’Obolo di San Pietro e dei contributi che arrivano dalle diocesi, e in che misura. Di certo ci saranno minori entrate derivate dalla contrazione delle rendite degli affitti.
“Avevamo già deciso, approvando il budget di quest’anno, che le spese andavano ridotte, per abbassare il deficit”, ha spiegato. “L’emergenza del dopo coronavirus ci obbliga a farlo con maggiore determinazione. Lo scenario ottimista o quello pessimista dipendono in parte da noi (da quanto saremo capaci di ridurre i costi) e in parte da fattori esterni, da quanto realmente le entrate diminuiranno (le entrate non dipendono da noi)”.
Di fatto però, continua il gesuita, ““il Vaticano non rischia il default. Questo non vuol dire però che non dobbiamo affrontare la crisi per quella che è. Abbiamo sicuramente davanti anni difficili. La Chiesa compie la sua missione con l’aiuto delle offerte dei fedeli. E non sappiamo quanto la gente potrà donare. Proprio per questo dobbiamo essere sobri, rigorosi. Dobbiamo amministrare con la passione e la diligenza del buon padre di famiglia”.
“Noi non abbiamo né la leva della politica monetaria e né quella della politica fiscale. Noi possiamo contare solo sulla generosità dei fedeli, su un piccolo patrimonio e sulla capacità di spendere meno. Contrariamente a quello che in tanti pensano non ci sono grandi salari qui”, ha commentato il gesuita.
Guardando a come si comporterà il Vaticano in futuro, ha spiegato che “bisogna non solo evitare investimenti non etici, ma anche promuovere investimenti legati ad una diversa visione dell’economia, alla ecologia integrale, alla sostenibilità”.
“Noi non siamo una grande potenza. Si discute della difficoltà a farcela di grandi Paesi europei. Immaginiamo noi. Dobbiamo essere umili. Siamo una famiglia che ha un piccolo patrimonio e l’aiuto generoso di molti. Ce la faremo. Con la nostra capacità di amministrare bene. Con l’aiuto di Dio e dei fedeli. La Chiesa tutta è sostenuta così. Partiremo dalla condivisione della verità della situazione economica.
Il meglio che possiamo fare è essere diligenti e trasparenti. Conteremo sul denaro sul quale potremo contare. Costruiremo per il 2021 un budget a base zero. Partendo dall’essenzialità della missione”.
Giovanni Bernardi
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