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Coronavirus, un mese dalla chiusura. Come sono cambiate le nostre vite

È passato un mese dal giorno in cui l’Italia è finita in lockdown, ovvero da quando il governo ha stabilito misure restrittive per combattere il coronavirus.

Una sera, quella del 9 marzo 2020, in cui all’annuncio di Giuseppe Conte hanno fatto seguito anche le decisioni dei vescovi italiani di porre il divieto sulla celebrazione di Messe aperte al pubblico. Da allora, quante cose sono cambiate?

Coronavirus, un mese di chiusura

Innanzitutto, è cresciuto in maniera esponenziale il numero dei contagiati dal coronavirus, e purtroppo anche delle vittime. Quella sera le vittime non avevano ancora toccato quota 500, oggi sono più di 17 mila.

In pochi giorni, da quella fatidica sera in cui abbiamo visto le immagini di persone al nord che si riversavano sui treni per tornare dai propri familiari al sud, hanno fatto seguito, prima, il decreto in cui si è stabilita la chiusura della maggior parte delle aziende. E poi, la dichiarazione dell’Oms: quella in cui siamo finiti diventa ufficialmente una pandemia.

Suore infermiere in corsia di ospedale – photo web source

Ripercorriamo i passi

L’Italia prima decide di fermarsi fino al 3 aprile, poi si prolunga fino al 13. Oggi, si attendono le future decisioni, spesso prese il giorno prima della fine del precedente decreto. Il virus, ormai lo si è capita, viaggia da solo sulle persone in base ai nostri spostamenti. Molto difficile, quindi, capire quale sarà la sua evoluzione giorno per giorno.

Un po’ alla volta, cominciano anche le polemiche. Chi doveva chiudere prima, qual è stata la risposta degli ospedali, perché non si trovano mascherine… la realtà è che il virus ha colto tutti di sorpresa. Lo stesso è accaduto per la Chiesa italiana: chiese aperte o chiuse? Le Messe sono vietate o si possono fare? E se si prendono misure di sicurezza? Si può almeno andare in chiesa per pregare o adorare il Santissimo Sacramento?

Coronavirus, l’isolamento senza andare a Messa

In un primo momento la Cei, la Conferenza episcopale italiana, sceglie la linea dura applicando le richieste del governo in maniera integrale nelle nostre chiese. Ma dopo arriva la reprimenda pubblica del Papa: le misure drastiche non sempre portano al bene, dice Francesco. I sacerdoti stiano con i malati e vicini al loro popolo.

Così si comincia a capire l’esagerazione delle proprie decisioni. Non c’è solo la salute del corpo, a cui far fronte, ma anche quella dell’anima. Se sono aperti supermercati, poste, edicole, tabaccai, perché privarci della casa in cui i cristiani incontrano Nostro Signore?

Le parrocchie italiane si attrezzano per diffondere in rete le celebrazioni private. La preghiera si fa social, l’isolamento in casa comincia ad avere un sapore diverso – sourceweb

Arriva il compromesso sulle chiese

Arriva il compromesso: le chiese restano aperte, si può pregare o restare in adorazione eucaristica, le Messe si celebrano ma in forma privata. Sono vietati i riti collettivi, perché causano assembramenti di persone. Molto rischiosi, visto il numero di persone che quotidianamente è vittima di questo male invisibile. Quindi, meglio obbedire e comportarsi da responsabili.

Quindi le porte delle chiese sono aperte, ma i fedeli possono entrare nel minor numero possibile, per pregare individualmente. I matrimoni possono avere luogo solo con celebrante e testimoni. I funerali sono sospesi. Il virus ci chiede di stare in casa, nella solitudine. E ci impone, pure nella morte, la solitudine.

La fede si muove sui social

La novità di questa occasione è il web. Quasi la totalità delle parrocchie italiane si attrezza per diffondere in rete le celebrazioni private. Siti diocesani, blog parrocchiali, account di vari social network. Podcast, video, dirette. La preghiera si fa social, l’isolamento in casa comincia ad avere un sapore diverso.

Anche sui social, si vive diversamente. Ora anche la Parola può viaggiare sul web ed entrare nelle nostre case. Così anche le televisioni ne prendono atto, e cominciano le celebrazioni in diretta televisiva. La Messa del Papa a Santa Marta, il rosario dalla Santa Sede, fino alla benedizione Urbi et orbi in Piazza San Pietro, con l’immagine di Papa Francesco che cammina solo nella piazza, che passerà alla storia.

Le foto dei tanti sacerdoti che sono venuti a mancare a causa del Coronavirus. Veri e propri martiri della fede (sourceweb)

Tanti sacerdoti ci hanno lasciato

Da allora, però, anche tanti sacerdoti sono morti. Tanti religiosi e religiose hanno perso la vita. Ormai sfiorano il centinaio. Uomini di Dio che fino alla fine sono stati vicini al prossimo e al malato.

Si narrano storie di Pastori che hanno lasciato i propri strumenti medici al paziente vicino, altri che recitavano preghiere per confortare gli stessi medici che li stavano curando. Il Vaticano dice ai medici che, in forma straordinario, e qualora lo desiderassero e ne abbiano la necessità, possono dare l’estrema unzione ai pazienti che stanno per spirare. Visto che per i sacerdoti l’ingresso nelle strutture ospedaliere è vietato.

Il problema economico: senza lavoro si rischia la fame

In questo tempo, tanti aspetti della nostra vita sono cambiati. Ora si parla di riaprire alcune fabbriche, in maniera ordinata e graduale. Dal 22 marzo il motore produttivo del Paese è stato fermato. Alla crisi sanitaria rischia di sommarsi, pesante, quella economica.

Tante aziende, specialmente le piccole, finiranno strozzate dai costi ancora alti e dalle entrare nulle. Tante famiglie potrebbero perdere il lavoro, se non si riparte. E si muore anche di povertà, di disoccupazione. Se non si porta il pane a casa, ci si umilia, non si ha più dignità.

Coronavirus, le nostre vite dovranno cambiare

Tante cose dovranno cambiare anche al nostro ritorno. Potremo uscire, ma dovremo prendere le precauzioni necessarie, e non potremo fare lunghi viaggi. Almeno fino al vaccino. Sperando di poter riabbracciare, nelle nostre Chiese, nostro Signore. E riceverLo ancora una volta, durante la Santa Messa.

Consapevoli che la gioia sarà ancora più grande, e avrà una forza ancora maggiore, per tutto il tempo che siamo stati distanti da Lui, fisicamente, da quel corpo che amiamo tanto. E che tanto ci è mancato.

Giovanni Bernardi

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