Quello dell’uso di pesanti farmaci per la “transizione di genere” è uno scandalo di cui si parla ben poco. Ma una sentenza a Londra cambia le carte in tavola.
Un fatto in particolare sembra fare in questi giorni da apripista per una riscossa morale collettiva da una triste realtà tutta contemporanea. Nel 2019 Keira Bell ha denunciato la clinica Tavistock di Londra, finanziata persino dal Sistema sanitario nazionale e specializzata nel cambiare sesso ai bambini, per aver accettato la sua richiesta di sembrare un maschio sottoponendola ad un bombardamento ormonale da cui non si può più tornare indietro.
La ragazza passò un’infanzia difficile, e fin da piccola la madre cominciò a chiederle “se voleva diventare un maschio”. Keira, come riporta La Nuova Bussola Quotidiana, racconta che la sua risposta era: “no, non sono un maschio”. E ricorda che solo “l’idea” la “disgustava“. “Mi rimase impressa nella mente e non andò via”, racconta la donna.
Molte denunce di questo tipo vengono presentati ai tribunali di quei paesi dove queste pratiche disumane vengono messe in atto. Così è stata propria l’Alta Corte di Londra a mettere in chiaro che le storie di persone come Keira sono un preoccupante allarme da ascoltare.
Martedì scorso è stata così emessa una sentenza di importanza fondamentale. Questa non vieta ancora il trattamento, come purtroppo andrebbe fatto, ma almeno indica i terribili pericoli di questi farmaci. Facendo comprendere che è inaccettabile che questi vengano somministrati a minori di sedici anni, se non altro senza nemmeno un vaglio del tribunale.
La corte ha infatti spiegato chiaramente, nella sentenza che è stata emessa, riportata dal quotidiano Avvenire, che è “altamente improbabile che un adolescente – specie al di sotto dei 16 anni – possa comprendere in maniera appropriata gli effetti a medio e lungo termine del cambio di genere e fornire a chi lo prende in cura per la transizione da un sesso all’altro un adeguato consenso informato”.
Gli psicologi spiegano che la maggior parte dei casi di transessualismo si originano da desideri patologici, narcisistici o perversi degli stessi genitori. Nel caso di Keira, sono serviti a convincere la piccola. È servito addirittura l’ausilio di uno psichiatra per inculcarle definitivamente in testa questa idea.
Le informazioni che vennero date alla giovane furono del tutto inutili, quasi irrisorie. Si parlava di fertilità mentre la giovane rispondeva che non pensava ai bambini. Poi cominciarono a spiegarle che sarebbe diventata un giovane alto, forte, bello. Così cominciarono le somministrazioni di testosterone a 17 anni. In pochi mesi era ormai concluso il dramma.
Quando la giovane cominciava ad avere seri dubbi su quella che stava accadendo, e notava di non essere proprio uguale agli altri ragazzi, le risposte che riusciva a recuperare le parlavano di una “fase normale” del processo di transizione.
A 20 anni praticò una doppia mastectomia, mentre le iniezioni di testosterone le hanno permesso di avere una voce da uomo. Così si ritrovò ad essere una donna, stavolta sì intrappolata in un corpo non più suo, che assomigliava a quello di un uomo. Il che ha cominciato a scatenare il panico nella giovane. “Ho iniziato a sentirmi più persa, isolata e confusa di quando non avevo ancora cominciato la transizione”, racconta oggi.
“Ho preso una decisione imprudente da adolescente (come molti adolescenti fanno)”, è la presa di coscienza della giovane. “Ora il resto della mia vita sarà influenzata negativamente”, spiega. “La transizione è stata una soluzione temporanea e superficiale ad un problema di identità molto complesso”.
A coronare il dramma, il fatto che non siano stati pubblicati studi riguardo questi terribili trattamenti, nonostante le numerose richieste della giustizia. Né tantomeno sono ad oggi disponibili statistiche sulla riuscita o meno di questi trattamenti. Mentre alcune ricerche parlano di un’alta presenza di disforia di genere in molti giovani con diagnosi di autismo, dati approfonditi o statistiche non sono mai stati forniti ai tribunali.
L’unico approccio che viene esercitato nei confronti dei giovani che si presentano nelle cliniche è quello di fornire loro informazioni generiche sul trattamento, oltre che ben orientate verso una visione del tutto parziale della stessa. A livelli quasi di pubblicizzazione forzata di questo tipo di prodotti. Marketing, insomma, utile all’incremento del profitto delle cliniche che praticano questi trattamenti.
Che non fanno altro che aumentare fin dal primo momento quella che viene indicata come “disforia di genere”. In sostanza è il trattamento stesso, e il modo in cui viene identificato, a fare “solidifica il sentimento di identificazione con l’altro sesso, portando i giovani a impegnarsi nella riassegnazione di sesso in maniera più convinta di quanto avrebbero fatto se ci fossero stati una diagnosi e trattamento diversi”.
Mentre invece sono molte le testimonianze a riportare che “esistono prove sufficienti che per una percentuale significativa di giovani che si presentano con disforia di genere, la condizione si risolve attraverso l’adolescenza senza trattamento con blocco ormonale”.
Lo si spieghi bene a tutte le persone che celebrano queste terribili vicende come una sorta di “progresso della civiltà”. Preghiamo tutti insieme affinché l’umanità si svegli una volta per tutte da questo incubo.
Giovanni Bernardi
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