Spesso le letture dei testi sacri, siano essi il corpus principale della Bibbia o lettere scritte dagli apostoli vengono interpretate fallacemente a causa della mancanza di contesto specifico. La colpa non è necessariamente di chi si approccia al testo, ma di una informazione mediata o addirittura autonoma che spesso manca dei rimandi necessari per una comprensione completa del concetto. In una rubrica dedicata ai dubbi dei fedeli, don Stefano Tarocchi, preside della facoltà di teologia dell’Italia centrale, risponde ad esempio ad un’errata interpretazione del pensiero di San Paolo tratto da una lettura scorporata dal contesto.
Il fedele, infatti, si pone un dubbio riguardante i peccati e la loro funzione in merito alla grazia: “Nella seconda lettera ai Corinzi San Paolo dice di vantarsi delle sue debolezze, in quanto necessarie per avere la grazia di Dio. Questo vale anche per i peccati? Non dobbiamo dolerci più di tanto di certi peccati, se questi aprono alla grazia di Dio? Certo la grazia si ha se siamo peccatori, infatti Gesù è venuto per i malati e non per i sani!”. Il passo a cui si riferisce il fedele esiste, ma fa parte di una diatriba con la scuola dei Corinzi che parte da molto più lontano.
Pertanto il teologo comincia la sua risposta fornendo al lettore qualche accenno di contesto che può essergli utile a comprendere meglio quello che ha letto: “Già nella stessa corrispondenza con la chiesa di Corinto, troviamo che l’apostolo accosta stoltezza e debolezza di Dio, per dire che esse sono rispettivamente più sagge e più forti degli uomini (1 Corinzi 1,25). Ma, aggiunge Paolo, ‘quello che è stolto per il mondo, Dio l’ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio l’ha scelto per confondere i forti (1 Corinzi 1,27). Più avanti l’apostolo precisa ai Corinzi che egli stesso si è presentato a loro «nella debolezza e con molto timore e trepidazione’ (1 Corinzi 2,3)”.
La citazione serve a don Tarocchi per spiegare come l’apostolo faccia riferimento alla debolezza come caratteristica dell’essere umano e che, in quanto tale, è inestricabile dalla sua natura, infine che l’accettazione di questa verità è utile alla comprensione del proprio io in relazione ad un percorso di perfezionamento e purificazione. La consapevolezza di tale caratteristica, infatti, è necessaria a tenere presente la propria fallacia, a non cadere in peccato di presunzione, quindi a tenere sempre presente la distanza che separa l’essere umano da Dio. La debolezza, dice ancora San Paolo, è talmente insita nella condizione umana da aver convinto Gesù Cristo a mandare sulla terra lo Spirito Santo affinché funga da guida per quelli che l’apostolo definirebbe “Deboli nella fede”.
Tale lettera di San Paolo ai Corinzi, spiega don Tarocchi, è stata mandata in risposta a coloro che lo giudicavano duro in lontananza (capace di esporre le proprie convinzioni con fermezza tramite le lettere) e debole, mesto in presenza di contestatori. Tanto è vero che in una parte di questa si legge: “Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno”, ma poi aggiunge di seguito: “Dal momento che molti si vantano, mi vanterò anch’io” (2 Corinzi 11,18) e “Chi è debole che anch’io non lo sia… se è necessario vantarsi, mi vanterò della mia debolezza”.
Con gli elementi necessari a comprendere il contesto, il passo a cui fa riferimento il lettore assume tutt’altro significato, come spiega perfettamente il teologo: “E qui siamo arrivati al principale testo a cui il lettore si riferisce. Dopo aver parlato della «spina ricevuta nella sua carne», che Paolo ha chiesto gli venisse allontanata, scrive che il Signore «mi rispose: “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”. Mi vanterò quindi volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo; quando sono debole è allora che sono forte”.
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