Se credi e ami moltissimo, sei un Santo.
Se credi e ami poco, sei un cristianuccio.
Se non credi e non ami, sei un cattivo cristiano.
Ma cosa vuol dire CREDERE (ovviamente, credere in Dio) ?
Prima di tutto non vuol dire credere che Dio esiste, che Dio c’è, perché non è necessaria la fede per affermare che Dio esiste, basta che funzioni il cervello: non è certo necessario essere cristiani per credere all’esistenza di Dio. Anche il diavolo sa che Dio esiste, ma non si può dire certo che si fidi di Dio, che creda in Dio!
Quando dico che credo in Dio, non è come dire – in pieno giorno – che credo che esista la luna: non la vedo, ma so che c’è, per cui “credo” che c’è. No: nel caso nostro “credere in Dio” non è come dire: “io non vedo Dio, né l’ho mai visto, però credo ugualmente che c’è”. No, non è così.
Dire di “credere in Dio” è come quando diciamo ad una persona che ci sta davanti: “Io credo in te”. Vuol dire: io ho fiducia in te, mi di fido di te, credo a te.
Cristiano è colui che ha fiducia in Dio, crede a Dio, si fida di Dio, conta su Dio.
Questa è la fede, ed è quanto di più grande possiamo possedere, perché è questa fede che ci unisce a Dio e unisce Dio a noi.
Quante volte anche a te sarà capitato di fare qualche contratto con Dio: “Se mi fai questa grazia, io ti faccio questo….”. “Se fai guarire la mia ragazza, smetto di fumare”. “Se fai trovare il lavoro a mio figlio – mi confidava una mamma a Roma -, vado a piedi alla Madonna del Divino Amore”. “Se fai guarire mio marito, vado a Messa tutte le domeniche”. Cose belle, buone, che sicuramente piacciono a Dio, perché fumare è un male, mentre è bene fare pellegrinaggi e andare a Messa… Ma se vuoi davvero toccare il cuore di Dio, digli così: “Io mi fido di te, io credo in te, io gioco tutto sulla fiducia in te” e sii certo che Dio ti ascolterà.
Nel Vangelo ci sono pagine che ci dimostrano come la nostra fede è la debolezza di Dio: ricordi quella donna malata che pensava dentro di sé: “Se arriverò a toccarlo, guarirò” e fece di tutto per toccarlo? Ricordi come Gesù, tra la ressa che lo spingeva da tutte le parti, si fermò e disse: “Chi mi ha toccato?”. Non gli sfuggì che quella povera malata lo aveva toccato con fede e la guarì all’istante.
Una volta mi raccontarono di un bambino di cinque anni che era rimasto intrappolato nella casa in fiamme. Era impossibile salvarlo avventurandosi nell’appartamento in fiamme. E i vigili del fuoco tardavano. Dalla finestra del secondo piano urlava disperatamente: “Papà! Papà!”. Il padre accorse e gridò: “Salta giù!”. Sotto di sè il bambino vedeva solo fuoco e fumo nero, ma sentì la voce e rispose: “Papà, non ti vedo….”. “Ti vedo io e basta. Buttati!”, urlò l’uomo. Il bambino allora saltò e si ritrovò sano e salvo nelle braccia del padre, che lo aveva afferrato al volo.
Il nostro rapporto con Dio è tutto un problema di fiducia: gli credo o non gli credo, mi fido o non mi fido.
Quando ero vescovo ausiliare di Roma, dopo aver amministrato la Cresima in una parrocchia della periferia, per l’esattezza a Torre Maura, venne un anziano signore a congratularsi con me perché avevo parlato della fiducia in Dio. Io andavo di fretta, ma volle raccontarmi quanto gli era capitato. “Da giovane – mi disse – abitavo a S. Giovanni Rotondo e tanta gente da tutte le parti del mondo veniva a confessarsi da Padre Pio. Un giorno volli andarci anch’io. Mi misi in ginocchio e subito gli chiesi: “Padre, io non credo in Dio”. Padre Pio, alzando la voce, mi disse: “Come è possibile che tu non creda in Dio: scommetto che sei sposato?”. “Sì”, risposi. “E chi ti ha messo a capo di una famiglia, chi ti ha affidato una sposa? Dio crede in te e tu non credi in Lui? Scommetto che hai anche dei figli….”. “Sì, tre”, risposi. Allora Padre Pio si arrabbiò davvero sul serio e cominciò a gridare: “Come, Dio ha fiducia in te, ti ha affidato una famiglia con tre figli, e tu non credi in Lui, non gli dai fiducia! Vergognati! Fuori!”. E mi cacciò così dal confessionale da cui uscii tutto rosso, pieno di vergogna e giurando che non ci sarei tornato più. Padre Pio però mi aveva messo un chiodo in testa: Dio ha fiducia in me, Dio si fida di me. Dopo qualche anno sono tornato e mi sono davvero convertito”.
Dio ha davvero fiducia in te.
Il peccato è tradire questa fiducia di Dio.
Te la immagini la faccia di Dio quando, dopo averti ricolmato di doni, lo bestemmi? Te la immagini quella faccia dinanzi ad una donna che sta per diventare mamma e uccide il suo bambino prima ancora che nasca, oppure quella faccia dinanzi ad una donna o un uomo che, dopo essersi giurati fedeltà dinanzi a Dio, si innamorano di un’altra persona, abbandonano la loro famiglia per andarsene per i fatti propri? Questo è il peccato, mancare di fiducia in Dio, tradire la fiducia di Dio.
Qual è il modo migliore per esprimere la propria fiducia a Dio, per dirgli che contiamo su di Lui, che ci fidiamo di Lui? Chiamarlo Papà.
Pensa che Gesù è venuto appositamente tra noi perché potessimo chiamare Dio Padre. Non è stato facile. Dal momento che Dio ha un Figlio solo, Gesù ha escogitato un modo molto originale, ci ha fatti diventare tutti suoi fratelli. Per cui i fratelli del Figlio sono tutti figli dello stesso Padre: così siamo diventati figli di Dio.
Poter chiamare Dio col nome di Papà è il massimo della dignità ed è anche la più grande gioia che possiamo dare a Dio.
Ricordo ancora con stupore la gioia di Luciano, quando mi chiamò per dirmi che Giorgio, il suo bambino, lo aveva chiamato, credo avesse balbettato, “Papà” per la prima volta.
Mi fu facile pensare alla gioia di Dio sentendosi chiamare Abbà, Papà, Babbo.
Chiamare Dio Papà vuol dire PREGARE. E’ Gesù stesso che ce lo ha insegnato e ci ripete:
“Quando pregate, dite così:
Padre nostro,
che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo Regno,
sia fatta la tua volontà
come in cielo così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano.
Rimetti a noi i nostri debiti,
come noi li rimettiamo ai nostri debitori
e non ci indurre in tentazione,
ma liberaci dal male”.
Chiamare Dio Papà è renderlo felice e la Gioia del Signore è la nostra forza.
Se essere cristiano vuol dire fidarsi di Dio, e questo si fa chiamandolo Papà, non possiamo dimenticarci neppure un momento di essere figli di Dio e ripeterglielo continuamente. Papà, Papà, Papà … Proprio come faceva Gesù.
Ripetiglielo continuamente, ti sente, ti ascolta, è felice di sentirselo dire.
Insegnalo ai tuoi figli, partecipalo ai tuoi amici, è il grande segreto dell’uomo: essere figlio di Dio e potersi fidare di Lui.
L’altra cosa che il cristiano deve fare è
AMARE
L’amore è il vero distintivo del cristiano. I primi cristiani li riconoscevano da questo: “Guardate come si amano”.
Ma cosa vuol dire amare? Forse non c’è parola più usata e sfruttata di questa. Per capire cos’è l’amore cristiano credo sia sufficiente chiarire che i cristiani devono amare, non come amano gli uomini, ma come ama Dio. Tra i due modi di amare c’è una differenza infinita. Per gli uomini, che sono egoisti, anche l’amore è merce di scambio: amano chi li ama e odiano chi li odia. L’amore è un “do ut des”, ti do perché tu mi dia. La cosa è molto naturale e ci si stupisce come non debba essere così. D’altra parte una cosa sono gli amici e l’altra cosa i nemici: gli amici si amano e i nemici si odiano, altrimenti che nemici sono, sarebbero amici anche loro.
In Dio invece le cose non stanno così. Dio non è egoista, è amore puro e in Lui l’amore non è merce di scambio, ma puro dono e un dono che fa a tutti in modo infinito. Dio ama davvero ciascuno infinitamente.
Dio ha amato la Madonna, la madre di suo figlio, allo stesso modo con cui ha amato Giuda. Dio ha amato S. Francesco come ama lo spacciatore. Il problema è la risposta. La Madonna e S. Francesco hanno risposto al suo amore e sono diventati quello che sono, gli altri purtroppo si sono rovinati con le loro mani.
Dio ci dona infinitamente il suo Amore e vuole che anche noi amiamo tutti di amore infinito, perchè l’amore è infinito ed eterno o non è amore. Gesù ce lo ha detto chiaramente: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste …. che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti” (Mt 5).
Anche noi siamo chiamati ad amare come ama Dio, cioè ad amare davvero. Il cristiano è colui che ama tutti e sempre, perché sa bene che l’amore vince tutto, per cui scommette sull’amore.
Quante volte facciamo l’esperienza non solo di essere incapaci di amare, ma addirittura di trovarci nell’assoluta impossibilità di farlo. Quando il cuore non si smuove, ma si rifiuta, quando anzichè sentimenti di amore sprigiona ripugnanza o addirittura odio, come fare? Quante volte sarà capitato anche a te di fare finta di non aver visto una persona per non salutarla? D’altra parte si ama col cuore, e se il cuore si rifiuta?
Dio non è un padrone disonesto e crudele che ci obbliga a delle cose che non siamo capaci di fare.
Gesù, che ci ha detto di amarci “come Lui ci ha amato”, ci dà anche la capacità di farlo nei confronti di tutti. Lui che è il Salvatore di tutto e di tutti vuol salvare, guarire soprattutto il nostro cuore, liberandolo da ogni forma mortificante di egoismo, per renderlo capace di amare tutti e sempre.
E’ possibile che il cuore di ogni cristiano diventi come il cuore di Cristo: una sorgente inesauribile di amore?
Posso assicurarti che questo è possibile. Anzi il miracolo della guarigione del cuore fino a renderlo capace di amare l’altro più di se stesso è un miracolo continuo: è il miracolo del perdono.
Il Cristiano è l’uomo reso capace di perdonare, perché il perdono è indispensabile come il pane. Hai mai notato come Gesù nel “Padre nostro” ci faccia chiedere due cose sole per noi: il pane e il perdono? Perché sono le uniche cose indispensabili per vivere! Senza cibarci continuamente non si vive, ma anche senza il perdono non si vive, si sopravvive. Siamo talmente abituati alla sopravvivenza che non ce ne accorgiamo che ci manca l’atmosfera giusta per respirare. Siamo assuefatti all’inquinamento. Si lavora con e per chi si odia; si serve chi non si ama; si vive sotto lo stesso tetto e nello stesso palazzo di coloro con cui siamo in guerra.
Qualche anno fa, commentando in una parrocchia di Roma la parabola del figliol prodigo e sottolineando l’importanza dell’accoglienza e del perdono, chiesi se nel quartiere ci fosse un condominio in cui andassero tutti d’accordo: lo avrei visitato volentieri. L’uditorio sorrise e alla fine della Messa un signore molto elegante venne a complimentarsi per la predica e a dirmi che lui era in causa con tre condòmini.
Il luogo in cui è evidente che il perdono è necessario come il pane è la famiglia: o ci si perdona o la famiglia muore. E risulta anche evidente che soltanto chi sa perdonare – che poi appare come lo stupido di turno – è quello che vince sempre. Ricordo di aver calmato un giovane che voleva “menare” suo padre, perché oltre a tradire la moglie se ne vantava con gli amici, umiliando la sposa in maniera indegna. Dopo molto tempo ho ritrovato quel giovane e gli ho chiesto notizie della famiglia. Lui, intuendo subito cosa volevo sapere, mi disse soltanto: “Se mia madre non fosse stata una santa, io non avrei avuto una famiglia”.
Ma come si diventa capaci di amare? Come si dilata il cuore fino a diventare capaci di perdonare?
E‘ una grazia che dobbiamo domandare e posso assicurarti che Dio la concede volentieri. Dobbiamo chiederla, come David: “Crea in me, o Dio un cuore puro… Rendimi la gioia di essere salvato, rinnova in me un animo generoso” (Salmo 50).
Chiedi questa grazia come la guarigione di una persona cara – perchè di guarigione si tratta – e poi avvicinati a Dio stesso, confessandoti e ricevendo la Comunione. Solo entrando in contatto diretto con Dio potrai sperimentare il miracolo e questo contatto è possibile attraverso i Sacramenti.
Sono certo che più volte anche tu nella tua vita ti sarai trovato nel dilemma: perdono o dichiaro guerra, perdono o gliela faccio pagare, perdono o distruggo la mia famiglia….? Signore, rendimi capace di amare, rendi il mio cuore simile al tuo!
Di miracoli ne ho visti tanti. Dopo aver parlato in una parrocchia di Roma della pastorale delle famiglie e aver cercato di coinvolgere i presenti per le varie attività, terminato l’incontro, una signora mi chiese se, pur essendo separata dal marito, poteva lavorare nella pastorale familiare. Ricevuta la mia piena disponibilità, mi chiese di pregare per lei così insistentemente da suscitare in me la curiosità di sapere se si trovasse in qualche particolare difficoltà. “No – mi disse – però diciassette anni fa mio marito mi ha abbandonata, lasciandomi sola con tre bambini. Per dignità non l’ho cercato, nè ho chiesto niente. Lui non si è più fatto vivo. Col mio lavoro ho mandato avanti la mia famiglia. Adesso le mie figlie sono laureate e sposate…. Non mi manca niente … Soltanto sento di non riuscire ad amare mio marito come prima che se ne andasse”.
Ho raccontato più volte questo fatto e altre persone si son fatte avanti dicendo di trovarsi nella stessa situazione. Non credo che un cuore umano possa essere capace di fare questo se non è amplificato dalla potenza di Dio. Questo si chiama perdono.
Il Cristiano deve amare così.
C’è una scala progressiva del modo con cui un Cristiano deve amare i fratelli: come se stesso, più di se stesso, come li ama Dio.
Sai quando è l’anniversario del nostro Battesimo? La notte di Pasqua.
In quella notte ci vengono rivolte le domande fondamentali della nostra esistenza: Credi in Dio? Credi in Gesù? Credi nello Spirito Santo? Credi nella Chiesa? La tua / la nostra risposta dovrà esprimere la fiducia in Dio che sostiene la nostra vita.
Pasqua vuol dire anche Passaggio dalla morte alla vita, e anche noi dobbiamo morire al peccato e all’egoismo e risorgere all’amore. Il modo migliore per esprimere questo passaggio e per compierlo è sempre l’avvicinarti ai Sacramenti della Confessione e Comunione.
Confessarci e fare la Comunione vuol dire “far Pasqua”.
Giuseppe Mani
Arcivescovo emerito