Cos’è l’inferno secondo la teologia classica ?
“Non si parla più dell’inferno, né di satana, né della possessione diabolica e degli esorcismi, e neppure dello stesso Giudizio divino che infallibilmente attende ogni uomo e ogni donna!”. Non è poi così raro sentire delle lamentele del genere, specie presso le persone anziane e devote, come le vecchiette del rosario serale.
Ma da qualche tempo si odono questi discorsi anche sulla bocca di giovani pii e zelanti, come quelli che partecipano ai pellegrinaggi, si recano regolarmente nei santuari mariani e all’adorazione eucaristica, o prendono parte a manifestazioni pubbliche cristianamente ispirate, come il Family day o la Marcia per la vita.
Papa Francesco, nei primi 5 anni di pontificato (2013-2018), ha parlato decine di volte del diavolo e della sua nefasta azione nel mondo e nelle anime. Questo è innegabile e sicuramente controcorrente in una cristianità che sembra aver espunto dal proprio Catechismo e dalla propria Bibbia, tutti quei passi, piuttosto numerosi e salienti, che hanno per protagonista il Principe di questo mondo (cf. Gv 12,31 e 14,30).
Ma l’inferno, con le sue eterne pene, resta un tabù, come d’altra parte lo è, ancor più inspiegabilmente, il purgatorio. In nostro soccorso, per una sintesi piana e teologicamente fondata, è stato appena tradotto e pubblicato un eccellente testo di meditazione che tratta lungamente della vita dell’anima dopo la morte: Réginald Garrigou-Lagrange, La vita eterna e la profondità dell’anima, Fede & Cultura, 2018.
Questo libro-manuale lo consideriamo veramente magnifico, sia per l’acribia teologica dell’autore, sia per lo stile letterario che lo riveste e che lo rende gradevole e appassionante alla lettura. Si tratta della classica lettura sapienziale che, se venisse presa in considerazione dai cattolici, avrebbe degli effetti formativi profondi e senz’altro duraturi.
L’autore, domenicano e seguace della dottrina di Tommaso d’Aquino, è considerato uno dei migliori teologi del Novecento. Francese di nazionalità, visse per lo più in Italia e insegnò per quasi mezzo secolo all’Angelicum di Roma, dove ebbe per studente un giovane Karol Wojtyla, che si laureò sotto la sua direzione nel 1948 (con una tesi sulla teologia di s. Giovanni della Croce).
Nell’opera sopra citata, padre Reginaldo tratta approfonditamente dell’inferno, del giudizio divino e della dannazione, suddividendo la trattazione in vari capitoli. Questi sono: L’inferno nella Sacra Scrittura (cap. 1), Ragioni teologiche dell’eternità delle pene (cap. 2), L’eternità delle pene non si oppone ad alcuna perfezione divina (cap. 3), La natura della pena del danno e i suoi grandi insegnamenti (cap. 4), La pena del senso (cap. 5), L’ineguaglianza delle pene infernali (cap. 6), L’inferno e i bisogni spirituali della nostra epoca (cap. 7). Il tutto occupa uno spazio significativo del libro citato (pp. 115-172), ed offre ai lettori di buona volontà tutto ciò che di essenziale c’è da sapere sul luogo e sullo stato negativo ed infelice per antonomasia.
In questo articolo ci limiteremo ad una sorta introduzione al dogma dell’esistenza dell’inferno, rivelato esplicitamente da Dio e insegnato infallibilmente dalla Chiesa: antica, moderna e contemporanea, dagli antichi padri della Chiesa sino al Catechismo della Chiesa cattolica (1997). L’inferno essendo uno status speciale di dannazione non può sussistere senza dei dannati, ora solo in spirito (demoni e anime perdute), poi, dopo la resurrezione finale dei corpi che farà seguito al Giudizio finale, in carne e ossa.
Stupisce leggere, all’inizio dell’excursus, queste parole vergate dal domenicano nel lontano 1947: “Oggi non si predica più molto spesso su questo argomento e si lascia cadere una verità rivelata tanto salvifica; non si fa abbastanza attenzione al fatto che il timore dell’Inferno è il principio della sapienza e conduce a convertirsi. In questo senso si può dire: l’Inferno ha salvato molte anime” (p. 115, corsivo mio).
La stesa logica vale nel 2018, in cui molti teologi, pastori e fedeli vorrebbero abolire la verità scomoda dell’inferno, e secondo noi varrà pari pari anche tra 100 o 1000 anni. Sapere che Dio esiste – la prima certezza della ragione e della religione – non basta a salvarci. Giova sapere altresì che Dio punirà eternamente coloro che rifiutano con ostinazione la sua misericordia, la sua amicizia e la sua bontà infinita.
Proprio Gesù Cristo, che è Dio prima di essere un uomo come noi, si è incarnato in terra per avvertirci della possibilità reale della perdizione, a seguito di quel giudizio particolare che ogni essere pensante riceverà da Lui nell’istante stesso della morte…
“Bisogna insistere su tutti questi punti, tanto più che il dogma dell’Inferno fa maggiormente apprezzare, per contrasto, il valore della salvezza eterna” (p. 115). Qui si sente la saggezza dell’uomo di Dio, come fu Garrigou-Lagrange. In effetti, se tutti fossimo salvati in automatico e a prescindere dalle nostre opere, a che cosa servirebbe condurre una vita integralmente retta? E i comandamenti divini, che sono comandi e non consigli, non sembrerebbero piuttosto delle prese in giro? Come a dire: “Io vi ho detto di non bestemmiare, di non rubare, di non commettere atti impuri, di non mentire e vi assicuro del paradiso se li osserverete tutti e 10. Anzi… anche se ne osserverete 5, oppure 3 o anche 1, anzi perfino nessuno”!!!
Questa voce non potrebbe essere in nessun caso quella del Cielo, sempre soave e limpida come un laghetto montano; ma proprio l’opposto. Dio non inganna mai. Cristo non mente né quando parla della porta stretta da imboccare, al contrario della via larga della perdizione (Mt 7,13), né quando richiama la Geenna come immagine dell’inferno (Mt 10,28), né quando mette in relazione i molti chiamati e i pochi eletti (Mt 22,14), né infine quando si rivolge agli egoisti, ai superficiali e agli avari dicendo loro: “Andate lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e i suoi angeli” (Mt 25,41).
Dal Verbo eterno del Padre, la seconda persona della SS. Trinità, dobbiamo ricevere con uguale devozione sia le celebri benedizioni del Discorso della montagna (cf. Beati i poveri in spirito, gli afflitti, i miti, i misericordiosi, i puri di cuore, etc.), sia le maledizioni e i rimproveri (Guai a voi…). Cristo, che è la Bontà stessa e la Sapienza infinita, così ha detto, per il nostro bene e per la sua gloria: “Chi non è con me, è contro di me” (Mt 12,30).
Fabrizio Cannone