Nel paese forse più sessista, maschilista e omofobo del mondo, è in uso una pratica paradossale: alcune bambine vengono costrette ad “essere” maschi e avviate ad attività tipicamente maschili.
La sua testimonianza è stata ripresa nei giorni scorsi da Repubblica
La follia fondamentalista e talebana continua a colpire le donne, costringendo le famiglie a una scelta umiliante e paradossale. L’Occidente, però, non può dare lezioni.
Avviene nell’Afghanistan recentemente riconquistato dai Talebani: nelle famiglie senza figli maschi, alla nascita della terza o quarta figlia, la bambina viene educata come un “bacha posh”, espressione con cui, in lingua dari vengono indicati i travestiti.
Tutto ciò avviene per un motivo molto semplice: in Afghanistan soltanto agli uomini è consentito lavorare. Al tempo stesso, il lavoro minorile è capillarmente diffuso, cosicché, molte bambine girano per i villaggi capelli corti e pantaloni.
Come Manan, che il pomeriggio aiuta il papà nella sua gelateria ma la mattina va a scuola insieme alle altre bambine, regolarmente vestita in abiti femminili.
La sua testimonianza è stata ripresa nei giorni scorsi da Repubblica, che ha riportato le seguenti parole della piccola: “Non m’importa, appena suona la campanella non vedo l’ora di tornare a casa a cambiarmi i vestiti e raggiungere papà al lavoro. Ora vendiamo anche le mascherine”. Se le si chiede se da grande vorrà sposarsi, risponde: “No! Amo essere un ragazzo”.
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Arman è il nome maschile e ‘pomeridiano’ di Manan. Quando sarà grande, però, questa farsa non potrà continuare. “Se verranno i talebani dirò loro che abbiamo bisogno di mangiare ed educare nostra figlia così. È l’unico modo per garantirci una pensione in futuro”, ha raccontato Yasmin, la madre della bambina.
La follia fondamentalista non conosce confini: in Afghanistan, come nel vicino Pakistan e in altri paesi a maggioranza islamica, nascere femmine è una maledizione. Una bambina è vista come un peso per la società e un costo per lo stato. Non lavorando, non guadagnando e non producendo, l’unica funzione della donna è quella di procreare e, nei limiti del consentito, educare i figli.
In particolare per le famiglie povere, la nascita di una bambina viene accolta come un problema. Ciò spiega l’altissimo numero di aborti ai danni dei feti femminili in molti paesi islamici. A meno che la piccola non divenga un bacha posh: per molte famiglie è l’unica soluzione per sbarcare il lunario, tuttavia, spesso queste bambine “travestite” vengono bullizzate ed emarginate. E alla fine non vogliono più vivere da donne.
La prospettiva di trascorrere il resto della propria vita nascoste sotto un burqa è terribile. Si verifica così un tragico paradosso: arrivate all’adolescenza, le ragazze capiscono che non possono più comportarsi e vestirsi da maschi, eppure gran parte della società non le accetta più come femmine, condannandole a un inquietante limbo.
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È sacrosanto che la stampa occidentale denunci le violazioni dei diritti umani nel mondo. Ricordare i soprusi contro le bambine, alla vigilia della Giornata Internazionale dell’Infanzia e dell’Adolescenza è più che opportuno.
Non si può, però, guardare la pagliuzza nell’occhio dei paesi islamici e ignorare la trave negli occhi del nostro Occidente. Ogni anno, in particolare nel Nord Europa e nel mondo anglosassone, migliaia di bambini vengono avviati dai genitori alla transizione di genere.
Ogni minimo comportamento difforme dalla mascolinità o dalla femminilità (bambini che giocano con le bambole, bambine che prediligono i soldatini, ecc.) viene subito etichettato come “disforia di genere” e i fanciulli rimangono ancora più confusi nella loro identità sessuale.
Se l’Afghanistan non può di certo definirsi un paese libero, noi europei lo siamo veramente? Se i genitori di Manan hanno travestito la propria figlia da maschio per la disperazione e per via dell’ignoranza diffusa nel loro paese, è difficile pensare che i genitori occidentali che conciano i loro figli da bambine o le loro figlie da bambini, non lo facciano per motivi diversi dal capriccio o dalla superficialità.
È accaduto poi, appena una settimana fa, che un liceo di Monza, un gruppo di ragazzi si siano presentati con la gonna per contestare la “sessualizzazione del corpo femminile” e la “mascolinità tossica”. Una maniera sensazionalistica e inopportuna per denunciare un problema che meriterebbe un approccio ben più accurato e meno emotivo.
Del resto, che la sottana ad uso maschile sia stata ormai sdoganata, lo dimostrano numerose sfilate in passerella di varie griffe più o meno note. Giusto denunciare le discriminazioni e le assurdità patite dalle giovani afghane. Evitando, però, di scandalizzarsi, di ostentare superiorità e di ragionare secondo la logica dei due pesi e delle due misure.
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