Una domanda certamente complessa e a prima impressione paradossale, visto che molto spesso è proprio all’interno delle aziende che nascono alcuni dei più duri conflitti, portatori di tensioni e lacerazioni personali e sociali. Eppure, l’esempio del grande vescovo don Tonino Bello, ha dato l’input per crederci.
Alcuni manager davanti alla propria condizione di sofferenza vissuta sul posto di lavoro hanno capito che non bastano regole scritte per portare la pace, ma c’è bisogno dell’aiuto del Vangelo e di una rivoluzione che parta dal profondo del proprio cuore.
L’iniziativa molto particolare è stata lanciata dal presidente di Pax Christi, il vescovo Giovanni Ricchiuti, insieme alla teologa Selene Zorzi e al manager Nicola Messina, direttore amministrativo ospedaliero con anni di esperienza nel settore grazie anche alla predicazione del vescovo Tonino Bello. Don Tonino Bello salì in cielo a causa di un cancro il 20 aprile del 1993, e da circa otto anni è stata aperta la sua causa di beatificazione.
L’idea rivoluzionaria presentata a Papa Francesco
Si tratta di un’idea a dir poco rivoluzionaria, tanto che il vescovo Ricchiuti ne ha parlato anche con Papa Francesco. L’idea è quella di portare la parola e la riflessione di don Tonino Bello all’interno delle imprese che si trovano in difficoltà per la ragioni più varie, tanto di natura strategica quanto personale, familiare o altro. Per questo l’obiettivo è di risanare tanto il capitale aziendale quanto relazione dell’impesa.
Tutto parte da una forte componente di spiritualità monastica, coniugata alla psicologia positiva e al neocognitivismo, che porta a una riflessione: per gestire il capitale umano c’è bisogno di “una gestione umana del capitale, non solo economico ma anzitutto spirituale”, hanno spiegato ad Avvenire Zorzi e Messina. Una cognizione aziendale estremamente lontana da quella maggiormente diffusa nell’economia di oggi, dove a farla da padroni sono troppo spesso “inganno e manipolazione”, ritenute come due delle principali leve del profitto.
La lezione di don Tonino Bello porta invece alla luce l’esistenza di una “terza via” in linea con quanto indicato nel Vangelo e con la predicazione di San Giovanni Paolo II, che su questo argomento aveva introdotto la nozione di “strutture di peccato”. L’idea nasce direttamente sul campo.
Com’è nato il progetto?
“Ho vissuto sulla mia pelle il ruolo di vittima e di persecutore nelle aziende dove ho ricoperto ruoli di responsabilità e direzione sia generale sia finanziaria“, ha spiegato Messina al quotidiano dei vescovi, raccontando che le tensioni presenti nel suo vissuto lo hanno fatto riflettere e lo hanno portato a capire che non bastano semplici regolamenti per portare pace e moralità nelle aziende, dove i conflitti sono continui.
La realtà che si vive, ha spiegato, è “manipolata, spesso artefatta, ingabbiata in dinamiche distorte”, tanto da parlare di “violenza aziendale”. Un circolo vizioso in cui, secondo l’esperto, è necessario innanzitutto ammettere la propria debolezza e il desiderio di riconciliarsi. Da qui arriva l’esempio di don Tonino Bello, con il legame stretto tra la pace e il riconoscimento dei propri errori. “Solo chi chiede di essere perdonato può ricostruire nelle organizzazioni complesse nuovi percorsi per relazioni feconde di trasparenza aziendale”.
Considerato inoltre che avere “un’azienda riconciliata conviene“, specialmente in un momento storico come quello attuale in cui la crisi economica morde e i rapporti tra le persone sono sempre più in crisi. A partire dall’azienda, in questo modo è possibile pensare alla ricostruzione del tessuto di rapporti umani, consapevoli che la persona si realizza principalmente nel lavoro e a contatto con gli altri, per questo è necessario non vivere il lavoro come una condanna ma come un qualcosa di liberante. E molte aziende cominciano a prenotarsi per questi cammini aziendali.
In tutto ciò, anche l’anno giubilare della Misericordia indotto da Papa Francesco e la sua esortazione apostolica Evangelii Gaudium hanno giocato un ruolo importante. “La forza del progetto è nell’innescare un processo interiore che porta le persone a uscire dalla spirale della violenza”, ha spiegato Zorzi, spiegando che “spesso le violenze che avvengono a livello di management, nei bilanci, vengono pagate dai dipendenti in termini di clima aziendale violento”, e che per questo “c’è bisogno di risanare i cuori, i rapporti”. “Il perdono non è un condono: prevede la consapevolezza dell’inevitabile presenza del male in noi e della possibilità di trasformarlo con la forza interiore”.