L’amore e la cura nel voler accompagnare i pazienti fino alla fine non conosce né differenze religiose né differenze etniche.
Maher Ibrahim, un infermiere arabo, ha compiuto un gesto che nessuno si sarebbe aspettato. Ha accompagnato un paziente ebreo in fin di vita a causa del Covid, nei sui ultimi momenti di vita, con una delle preghiere ebraiche più importanti. Una storia umana di rara bellezza che apre una luce di speranza, nello storico dissidio tra i due popoli.
Da arabo, recita la preghiera ebraica per accompagnare un paziente
L’ha accompagnato con la sua presenza e confortato con la preghiera, mentre il suo paziente viveva gli ultimi momenti della sua vita. Maher Ibrahim, infermiere arabo israeliano, ha confortato un paziente ebreo ortodosso morente, a causa del Covid, recitando per lui lo “Shemà Israel”, la preghiera ebraica più importante e sentita.
È accaduto in un ospedale della Galilea. Quando le condizioni dell’uomo si sono aggravate, i medici non hanno esitato a contattare la sua famiglia per assisterlo negli ultimi istanti. Ma Maher ha sentito “un qualcosa dentro” e non ha lasciato solo l’uomo: “Io e Shlomo (il paziente ebreo ricoverato, ndr) avevamo fatto amicizia.
Per interesse culturale ho studiato un po’ l’ebraismo e so che quando l’anima esce dal corpo occorre che siano pronunciate le parole Shemà Israel” – ha raccontato l’infermiere.
L’infermiere: “Siamo tutti figli di un Dio unico”
“Non so tutta la preghiera, ma quelle parole le ho pronunciate. E così ho raccontato alla figlia di Shlomo quando è arrivata: quelle sono state le ultime parole che suo padre ha sentito. Lavoro da 20 anni in ospedale, penso che la cosa più importante sia restare essere umani. Siamo tutti figli di un Dio unico” – confida commosso.
In attesa dei parenti dell’uomo, che sono arrivati purtroppo dopo la sua morte, l’infermiere con la sua preghiera, lo ha accompagnato senza farlo sentire solo: “Ci hanno fatto indossare indumenti sterilizzati per poter dare l’ultimo addio. Poi quell’angelo è venuto da noi. Ci ha detto di essere dispiaciuto per non aver potuto fare di più.
Sapevamo che l’équipe medica si era prodigata in condizioni molto difficili. Nostro padre era ammirato dalla loro abnegazione. E’ da episodi come questi che comincia la pace” – dichiara ringraziando apertamente, Ibrahim, la figlia dell’uomo deceduto.
Una storia che ha commosso tutti e che ha fatto, subito, il giro del mondo, commuovendo anche l’opinione pubblica israeliana.
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ROSALIA GIGLIANO