Il dramma di perdere un genitore da un momento all’altro, senza nemmeno un ultimo saluto, nessuno dovrebbe mai viverlo. Perciò, serve molta preghiera.
Spesso si tende purtroppo a negare l’esistenza del Covid. Eppure il dolore per le tante persone che sono morte a causa di questo male che si è presentato nel mondo all’improvviso è ben reale. Molte persone hanno perso i propri cari, e non è di certo vero che il Covid colpisce solo chi aveva patologie pregresse. Sono molteplici i casi in cui le vittime non avevano nulla, era uomini e donne anche giovani, intellettualmente vivi, sorridenti.
La lettera straziante che fa riflettere
Una lettera inviata al quotidiano Tempi lo spiega con chiarezza e grande drammaticità. L’autrice è una donna che ha vissuto questa situazione in prima persona. Ha perso la mamma e la sua perdita ha spezzato il cuore dei figli. Aveva di certo ancora anni felici davanti.
In pochi giorni, racconta la donna, tutta la famiglia si è ritrovata contagiata dal virus, ognuno con sintomi diversi. La donna arriva ad avere 37 di febbre, ma questa scende e si rialza continuamente. La cura con la tachipirina, gravissimo errore perché in quel modo anche la malattia diventa difficile da individuare e controllare. Poi comincia la terapia anti-Covid, fatta di “azitromicina, bentelan ed in più eparina per la mamma e per precauzione prendiamo una bombola di ossigeno”, come prescritto dal medico.
Come comincia il calvario verso la fine
Poco dopo la donna viene ricoverata, ma è da questo preciso istante che comincia il dramma. “La mamma viene prelevata da due persone, gentili ma molto distaccate, nel loro scafandro bianco alle 12,30 ed io, tra le mie lacrime ed il suo sguardo tra l’incredulo e il rassegnato, la vedo salire in ascensore con gli occhi fissi nei miei, quegli occhi dolci e rassicuranti che mai avrei più rivisto. Tra noi due neanche un abbraccio o un bacio poiché, in cuor mio, speravo che lei non fosse positiva”.
Insomma, comincia il calvario, e la paura aumenta insieme al cattivo presentimento della famiglia, e in particolare delle figlie. “La mamma viene portata in un ospedale appena fuori Milano, poiché in quei giorni tante erano le richieste di ricovero, e sta in fila ore in ambulanza, chiamandomi al cellulare spaventata e disorientata per ciò che stava vivendo e già desiderosa di tornare a casa tra i suoi affetti”.
I primi contatti con i medici e i primi sospetti
Poi arrivano i primi contatti con i medici. Il tampone è positivo, la donna ha una polmonite bilaterale più marcata a destra e che deve attendere che si liberi un posto in reparto. Rimane due giorni al pronto soccorso, e i figli riescono ad avere notizie solamente al telefono. Le cose però inizialmente sembrano andare bene. La febbre sparisce, la saturazione è buona e il quadro clinico stabile, quasi in miglioramento. Poi la crisi.
“Un medico, crudamente, il giorno seguente, ci comunica che la situazione è precipitata all’improvviso e che la saturazione è talmente bassa che lui non capisce come faccia a respirare e aggiunge che non avrebbero usato né il casco, né l’avrebbero intubata per l’età. Ciò mi fa impazzire, perché non capisco se sia la procedura o se, essendo anziana, non tentano il tutto per tutto (ma questi pensieri li tengo per me), so che in altre strutture sanitarie provano tutto, tanto cosa avremmo da perdere?”.
Cominciano gli allarmi ma non c’è nulla da fare
Insomma, la situazione è grave e la figlia comincia ad allarmarsi e a porsi seriamente delle domande. “La stessa sera richiamo e, come se fosse normale, mi comunicano che l’avrebbero sedata perché iniziava ad avere dolore (senza specificare che tipo di dolore) e mi dicono, in quel momento, se desideravo fare una videochiamata, ovviamente rispondo affermativamente“. Insomma, è l’inizio della fine, e tutto accade nel quadro di un contesto assolutamente disumano. Quello dell’interruzione netta, da un giorno all’altro, dei rapporti tra madre e figlia.
“Questo avviene: io e la mia famiglia vediamo la mamma, per l’ultima volta, in modo indistinto e per un tempo brevissimo che noi sfruttiamo al massimo cercando di incoraggiarla e lei, per la prima volta, piangendo ci dice che le manchiamo e che si sente male. Basta. Da questo momento la mamma per noi non c’è più visivamente e ci siamo dovuti accontentare, dal 31 ottobre all’8 novembre, di una veloce videochiamata“. Un vero e proprio dramma che nessuno si augura e che a nessuno dovrebbe mai capitare, per nessuna ragione. E tutto diventa chiaro.
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Si provano tutte le soluzione, ma nell’ospedale neanche un prete
“Capiamo, anche se non siamo medici, ma siamo persone pensanti, che la mamma non sarebbe più tornata da noi ed allora ci attiviamo perché non sia sola in quegli ultimi e decisivi momenti”, spiega la donna. Cominciano a cercare un sacerdote, purtroppo però l’ospedale non ha nemmeno un cappellano.
“L’ospedale in questione, essendo semi-privato, non contempla questa figura; non contenta cerco il cappellano dell’ospedale cittadino in cui c’è la struttura dove è ricoverata la mia mamma, che si mostra umanissimo e disponibile a darle l’estrema unzione. Questo sacerdote non viene fatto accedere al reparto covid, perché durante la seconda ondata, non è stato ancora riattivato il servizio e la mamma perde anche questa opportunità, cioè quella di avere una figura per lei rassicurante, seppur sconosciuta, al suo fianco”.
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La madre li lascia senza nemmeno un ultimo saluto
Insomma, nemmeno la possibilità di ricevere i sacramenti. Le provano tutte ma non c’è niente da fare. “La mamma rimane sola a vivere il momento decisivo della sua vita, affrontando in solitudine, per la prima volta nella sua vita, la cosa che più spaventa ognuno di noi: la propria morte”. La famiglia comincia a pregare e spera in un miracolo, poi arriva la chiamata dell’ospedale. “Sua madre è in pre-morte, tempo un’ora e non ci sarà più”.
Sono le parole con cui la famiglia è costretta ad accompagnare, nel proprio cuore, la madre in cielo. Pochi giorni dopo li lascerà. “Non avrei mai voluto arrivare a quel giorno, perché la mia mamma era immortale ai miei occhi e, invece, ci è stata strappata in modo così barbaro e crudele, senza un abbraccio finale, un conforto per lei. Sono stati i dieci giorni peggiori della nostra vita, sapendo che era là da sola, combattendo il male e non potendola vedere, parlare, abbracciare, stringerla; avremmo fatto di tutto pur di stare là, vicino a lei, indifesa e fragile”.
Giovanni Bernardi