Covid: il numero dei decessi è gonfiato? | L’inquietante sospetto

Fin dall’inizio della pandemia siamo stati abituati alla conta quotidiana di contagi e purtroppo anche di decessi. Numeri tanto impressionanti quanto angoscianti, ma sono molti ad avere un dubbio: e se fossero dati gonfiati?

La domanda se l’è posta anche un’autorevole analista che ha passato in rassegna quanto avvenuto in questi anni, facendo nascere il dibattito.

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Dallo scoppio della pandemia ad oggi, in Italia le statistiche ufficiali parlano di ben 138.099 decessi Covid. “C’è una domanda che si pongono in tanti: questi numeri sono gonfiati? Il dubbio nasce per come vengono conteggiati i decessi“, è quanto si è chiesta la giornalista Milena Gabanelli sul Corriere della Sera.

La domanda posta dall’autorevole quotidiano italiano

La questione è infatti complicata e controversa. L’Istituto Superiore di Sanità attribuisce un decesso alla causa del Covid quando si verificano precise condizioni. Quelle cioè di “tampone positivo al momento della morte, un quadro clinico compatibile con i sintomi del virus (febbre, tosse, dispnea, brividi, tremore, dolori muscolari, cefalea, mal di gola, perdita acuta di olfatto o gusto), assenza di recupero clinico tra la malattia e la morte, e assenza di una chiara causa di morte diversa dall’infezione”.

Su quest’ultimo aspetto però sono molti i dubbi. “In base alle regole attuali, se una persona muore durante un incidente stradale mentre è positivo, non viene evidentemente conteggiato come morto Covid; ma se è affetto da patologia oncologica, cardiovascolare, renale, epatica, oppure ha il diabete, e cessa di vivere mentre è positivo, rientra nella contabilità dei morti Covid“, spiega Gabanelli.

L’idea infatti rappresentata è che le patologie che il paziente aveva già potrebbero avere inciso sul decorso negativo dell’infezione dovuta al Covid, che rappresenterebbe quindi un elemento determinante. “Questa spiegazione, però, spesso non viene ritenuta convincente e porta a considerare il numero dei morti come sovrastimato“, commenta la giornalista, in passato conduttrice di Report.

Potrebbe essere determinante un interesse economico?

“Ma quale potrebbe essere l’interesse?”, si chiede. La risposta è chiara. “Per i maliziosi è una questione legata ai rimborsi“. Sono i numeri esposti dalla giornalista ad essere molto eloquenti. “Il 12 agosto 2021, con effetto retroattivo, è stato riconosciuto agli ospedali un incremento tariffario massimo per ciascun episodio di ricovero superiore a un giorno di 3.713 euro per l’area medica, e di 9.697 euro per la terapia intensiva”.

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Milena Gabanelli – photo web source

Incrementi che, ci tiene a sottolineare, sono assolutamente giusti visto il peso che effettivamente l’emergenza sanitaria infligge agli ospedali. Allo stesso tempo, abbastanza determinanti da fare pensare che un eventuale gonfiamento dei numeri potrebbe essere comunque molto remunerativo, quindi interessante. “Certo, nessuno può escludere la tentazione di attribuire il ricovero e il decesso al Covid, anche se magari il paziente nel frattempo è guarito ed il decesso è imputabile ad altra patologia pregressa”, commenta realisticamente la giornalista.

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Guardiamo ai numeri. Il “Report sulle caratteristiche dei pazienti deceduti positivi a Sars-CoV-2 in Italia” pubblicato il 26 gennaio dall’Istituto superiore di Sanità afferma che del totale dei decessi Covid registrati sono solamente 1.743 sono sotto i 50 anni, pari a malapena all’1,3 per cento, di cui 37 sotto i 19 anni. Tra i 50 e i 69 anni sono 19.511, il 14,1 per cento. Sopra i 70 anni 116.840, quindi la maggior parte, l’84,6 per cento, di cui 55.338 tra gli 80 e gli 89 anni e 26.722 over 90.

I numeri sono inequivocabili e offrono la risposta

Il dato più interessante riguarda i numeri su quanti non avevano patologie pregresse. Scrive il Corriere: “In base a un campione di 8.428 cartelle cliniche, i dati dell’Iss mostrano che chi è morto mentre aveva il Covid senza nessun’altra patologia concomitante è solo il 2,9% dei deceduti, con una patologia l’11,3%, con 2 il 17,9% e con tre o più il 67,8%”. Certamente, va specificato che non è tutto bianco e nero. Chi aveva altre patologie poteva certamente continuare a vivere a lungo con esse. In Italia su 51 milioni di maggiorenni oltre 14 milioni di persone convivono con una patologia cronica.

Tuttavia, un altro dato sta facendo molto discutere. Quello del luogo in cui sono avvenuti questi decessi. “Il 23,8% è deceduto in un reparto di terapia intensiva, il 58,5% nei reparti Covid ordinari, il 17,7% non è stato ricoverato, può essere deceduto dunque nella sua abitazione, in una casa di riposo o in un hospice”.

“Un dato importante, perché ci dice che, di qui in avanti, sarà bene fare molta attenzione ai termini che usiamo”, scrive a questo proposito il quotidiano romano Il Tempo. “Non a caso l’Iss preferisce parlare di «pazienti deceduti positivi all’infezione» da coronavirus. E non di pazienti deceduti «per il coronavirus». Altrimenti si rischia solo una gran confusione. Soprattutto se consideriamo che, secondo gli esperti che hanno analizzato le cartelle cliniche, il 17,7% dei morti non si trovava nemmeno in ospedale”.

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“Il Covid è una malattia che quando attacca il sistema respiratorio può degenerare velocemente. Chi sviluppa una grave polmonite in poco tempo viene per forza portato in terapia intensiva”, chiosa il quotidiano diretto da Franco Bechis. “Se ciò non avviene, significa che la malattia non è grave. La causa del decesso, quindi, deve essere un’altra. Ovviamente, è difficile generalizzare. Ma è la tesi che ormai sostengono numerosi medici. Per citare alcuni dei più conosciuti, sia Matteo Bassetti che Andrea Crisanti invitano da tempo ad inserire nel bollettino giornaliero solo chi è morto veramente per Covid, depennando tutti gli altri”.

Per cui la domanda resta: i numeri sono stati gonfiati per interessi economici, di fondi cioè corrisposti in base al numero di positivi e di decessi per il virus? Se fosse veramente così, sarebbe l’ennesimo vergognoso scandalo, di cui purtroppo molti sospettano.

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