Nella liturgia domenicale, e in molte altre circostanze importanti, i fedeli e il sacerdote recitano il Credo. Siamo consapevoli di ciò che pronunciamo?
Purtroppo, spesso a questa preghiera fondamento portante della nostra fede non viene prestata la giusta attenzione.
Recentemente si è arrivati addirittura ad ometterla dalla liturgia con l’inascoltabile scusa di essere in presenza di una messa ecumenica con esponenti di altre professioni. Il fatto è avvenuto dopo l’omelia del giorno dell’Epifania nella Cattedrale di Pinerolo. Autore di questo il vescovo Olivero.
Raggiunto dal corrispondente de la Nuova Bussola Quotidiana l’alto prelato si è giustificato con queste parole: “Rispetto il Messale tutto l’anno, ma c’erano anche Ortodossi, Valdesi e non credenti…».
I fatti di Pinerolo sono un’evidente dimostrazione di come si possa sconfinare dall’accoglienza al buonismo in un batter di ciglia. Calpestando così quella che è l’essenza della nostra fede di cristiani cattolici. La nostra identità. In un solo colpo, difronte al altre professioni, è come se si fosse abbassata la testa, ci si fosse nascosti rinnegando il nostro Credo; dimenticando i sacrifici e le lotte che i Padri della Chiesa sostennero nei primi secoli contro quelle eresie che miravano proprio a negare le nature divine di Cristo e delle Spirito Santo.
Fu redatto nel primo Concilio Ecumenico della storia, quello avvenuto a Nicea nel 325, e ampliato (nella parte riguardante lo Spirito Santo) durante il primo Concilio di Costantinopoli del 381. Ne esistono diverse formule, ma in realtà declamano tutte gli stessi principi cristiani. Ufficialmente, durante momenti diversi della liturgia, si utilizza il Credo detto Simbolo Apostolico (Credo degli Apostoli) o quello definito Simbolo Niceno-Costantinopolitano (la forma lunga usuale).
Il primo è un testo del II secolo, da cui proviene la professione per la celebrazione del Battesimo. Può essere formulato per intero o in domande. Nel secondo caso, il sacerdote chiede, all’assemblea tutta e ai padrini/madrine, di aderire ai tre articoli di fede del Simbolo Apostolico, rispondendo “credo”, e di rinunciare a Satana e a tutte le sue opere, dicendo fermamente “rinuncio”.
Il Simbolo Niceno-Costantinopolitano è da considerare la forma lunga del primo. In esso è esplicitata, in maniera ancor più esaustiva, una fede che proclama l’unicità di Dio, che si pronuncia nella natura del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (tre Persone in una).
Con esso, i cristiani affermavano con forza la questione della Trinità, per soppiantare definitivamente le eresie che arrivavano da più fronti e volevano la natura diversa delle tre Persone.
Nel corso dei secoli, poi, sono stati apportati degli aggiustamenti alla versione originaria. Ad esempio, durante l’Impero di Carlo Magno, si fecero due aggiunte, dapprima disapprovate da Papa Leone III, poi accettare, nel XI secolo, da Papa Benedetto VIII.
Esse riguardarono le espressioni “Deum de Deo”, ossia “Dio da Dio”, risalente alla primissima versione del Concilio di Nicea, e “Filioque” (“e dal Figlio”), adottata dal Patriarca di Costantinopoli Fozio. Quest’ultima espressione fu uno dei pretesti per lo Scisma d’Oriente, del 1054. E pensare che, nella nostra liturgia, il Credo era stato introdotto proprio dall’Oriente, nel 1024!
La Chiesa cattolica e quella protestante mantengono le due frasi, tutt’oggi. La Chiesa ortodossa invece no e adotta, quasi sempre, il testo esatto del periodo precedente lo Scisma.
Padre Valerio Mauro, docente di Teologia sacramentaria alla Facoltà teologica dell’Italia centrale, ci fa notare: “Il testo che chiamiamo “Credo”, dalla prima parola con cui inizia nella formulazione più abituale, nasce come “espressione simbolica” della fede trasmessa dalla Chiesa e ricevuta dalla persona che chiede di essere battezzata.
Lo diciamo “espressione” in quanto porta a comunicazione quanto si presume vissuto nell’intimo di chi lo pronuncia.
Lo diciamo “simbolica”, secondo l’etimologia greca della parola simbolo, mettere insieme, un’azione che unisce, operando un reciproco riconoscimento, nel nostro caso fra la comunità ecclesiale e chi chiede di entrarne a far parte nella fede condivisa”.
Alle origini, infatti, il Simbolo Apostolico era la massima espressione di chi si accingeva a diventare cristiano (i catecumeni), attraverso il Battesimo
Dice ancora Padre Valerio: “Questa espressione di fede della Chiesa di Roma è il “Simbolo Apostolico”, in dodici frasi che, secondo la tradizione, sarebbero state composte ognuna da uno dei dodici Apostoli”.
Il Credo, che recitiamo durante la Messa, adottato quindi dalla liturgia, non è l’unica versione che abbiamo avuto della professione di fede. Ci sono altri “simboli della fede”, come il “Simbolo Atanasiano”, il “Credo Tridentino”, il “Credo del Popolo di Dio” di Paolo VI e non soltanto.
Il Credo è la nostra adesione al progetto del Creatore; ripercorre i principali dogmi della nostra fede: credere in un solo Dio, Creatore del cielo e della terra; in Gesù Cristo, suo Figlio e nostro Signore, nato (incarnatosi) dalla Vergine Maria per opera dello Spirito Santo; che, quest’ultimo, proceda dal Padre e dal Figlio, da essi è indiviso, come hanno rivelato i Profeti; nella crocifissione e morte di Cristo, nella resurrezione di colui che di nuovo verrà a giudicare vivi e defunti; nell’attendere la resurrezione dei morti e dalla morte, in comunione coi Santi.
Non dobbiamo mai temere di recitarlo. Questa è la nostra fede
Antonella Sanicanti
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