Il Veneto ha contrastato al meglio l’epidemia del coronavirus, e ciò è stato possibile rifiutando le indicazioni che in quei giorni arrivavano da Stato centrale e organismi internazionali.
Risultato? 1800 decessi contro il 16 mila della Lombardia o i 4mila di Piemonte e Emilia Romagna.
Il professore Andrea Crisanti, vero artefice della lotta al Coronavirus della Regione Veneto, ha spiegato quanto accaduto al Corriere della Sera. “Ho fatto tamponi sugli asintomatici quando non si poteva perché mi sembrava chiaro che erano veicolo di contagio… se mi adattavo al gregge il Veneto sarebbe andato in rotta di collisione con il virus, come Lombardia e Piemonte”.
Come il Veneto ha combattuto il Coronavirus
La Regione ha esplicitamente spiegato di avere “forzato” la legge per prendere misure adeguate contro il coronavirus. Questa forzatura ha permesso di salvare molte vite, e non sappiamo quante. Solo escludendo le richieste che venivano dal governo centrale e dalle organizzazioni internazionali è stato possibile fronteggiare al meglio la pandemia.
Un dato di realtà che fa molto riflettere, sulla presunta infallibilità dei cosiddetti esperti e sulla superbia, talvolta esagerata, dei governanti. Il Veneto ha agito di testa sua, ma “nell’interesse superiore della salute pubblica”. Cioè le violazioni della legge hanno permesso la salvaguardia dei propri cittadini.
Le prime scelte e le indicazioni di Crisanti
Crisanti, responsabile del Laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’Azienda ospedaliera di Padova e fino all’anno precedente docente presso l’Imperial College di Londra, ha preso una posizione contraria a quella dell’Oms. Ovvero all’indicazione che ha determinato direttamente quella dell’Istituto superiore di sanità e della Regione, e inizialmente anche della Regione. Che inizialmente, sul tema di fare controlli a tampone degli asintomatici, non aveva ascoltato il medico. Poi, però, in un secondo momento si è ricreduta e questo ha permesso a tutta la Regione di evitare il peggio.
Il sistema unico di monitoraggio dei contagiati, organizzato in maniera veloce ma efficace, era infatti sul limite di quanto consentito dalla legge sulla privacy. Ma ha permesso il Veneto di anticipare di un mese le altre Regioni.
La ragione delle indicazioni di Crisanti
L’appello di Crisanti, già alla fine di gennaio 2020, invitava studenti, docenti e ricercatori padovani di rientro dalla Cina, “anche in assenza di sintomi contattare questo numero di telefono e fissare un appuntamento per indagini di laboratorio”.
Già l’idea di fare i tamponi anche agli asintomatici, completamente ignorati da chiunque fino a quel momento, era chiara nella mente del professore. “Alcuni segnali mi avevano convinto che si trattava di un’importante fonte di contagio“, ne spiega la motivazione lo stesso Crisanti.
Partono i primi esami
“Bisognava fare in fretta e io potevo procedere perché mi stavano arrivando da Londra i reagenti dei tamponi, comprati il 29 usando una parte dei fondi a mia disposizione all’Imperial College (13 milioni di euro in totale, ndr)”.
I primi esami sono partiti il 5 febbraio, su un soggetto cinese, e il presidente della più rappresentativa associazione cinese padovana Xiaohui Wang gli scrisse: “Se lei volesse la nostra popolazione è a disposizione”.
Il richiamo delle istituzioni
Le linee guida nazionali però negavano quella possibilità a chi non aveva febbre superiore a 38 gradi. “Lo riconosco, non ho rispettato il protocollo e ho fatto bene”, commenta oggi Crisanti. “Peccato solo che sia arrivata quella lettera di Mantoan (direttore generale della sanità veneta e presidente dell’Agenzia italiana del farmaco, ndr) che ha fermato il campionamento perché avremmo potuto controllare l’epidemia sul nascere. si sarebbero trovati molto positivi in quei giorni”.
Crisanti va oltre alle indicazioni a lui suggerite, e contro ogni protocollo comincia a fare i tamponi e tappeto. Montoan lo viene a sapere e lo richiama a rispettare gli ordini. Crisanti risponde che “sarebbe opportuno fare il test anche a persone provenienti da aree endemiche e con storia di esposizione a persone infette”.
Scoppia l’epidemia e il modello Crisanti ha la meglio
Da quel momento però, i tamponi rallentano e vengono quasi bloccati. Ma dopo dieci giorni l’epidemia esplode a Vo’. E tutto prende una direzione diversa. Anche le direttive regionali, che finiscono per coincidere con la scelta di Crisanti. Così che, verificando gli asintomatici nascosti tra i veneti, si è riusciti ad evitare che il contagio aumentasse.
I risultati dei primi test lo affermano ampiamente: il 40 per cento dei veneti è contagiato pur non presentando sintomi. Da lì nasce un sistema di sorveglianza regionale che diventerà quasi infallibile.
Il software che ha combattuto il virus
Questo si basa sull’incrocio dei dati che identifica i nomi delle persone entrate in contatto con i contagi e i luoghi in cui sono avvenuti i contatti. Basta un clic sulla mappa, e si leggono tutte le informazioni di cui si ha bisogno. Grazie a cui scovare in maniera tempestiva il rischio di nuovi focolai.
“Inutile negarlo in tempi normali non si sarebbero potute incrociare queste banche dati”, spiega al Corriere l’ideatore del programma. “L’abbiamo fatto nell’interesse superiore della salute pubblica, partendo dall’idea che al sistema di contrasto non debba sfuggire neppure un caso positivo perché potrebbe essere generatore di morti.
È chiaro che finita l’emergenza tutto dovrà rientrare”
Giovanni Bernardi
fonte: corriere.it
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