Le prospettive degli enti e delle imprese più direttamente interessate alla problematica del momento non sono tutte perfettamente allineate, tuttavia sembrano andare in un’inequivocabile direzione. Qualcosa, in ogni caso, non torna.
I rincari delle bollette energetiche sono un fenomeno decisamente precedente al conflitto russo-ucraino, tuttavia, nei prossimi mesi, la situazione rischia seriamente di precipitare.
Le nuove tariffe di gas e luce saranno il primo grande banco di prova del governo che si insedierà dopo le elezioni del prossimo 25 settembre. Il nuovo esecutivo avrà l’ingrato compito di gestire le ulteriori previste impennate dei costi.
L’Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente (ARERA) prevede un aumento di luce e gas pari al 100% nell’ultimo trimestre del 2022, senza contare che, su base annua, la crescita dei costi in questi due ambiti è stato del 160%.
Secondo ARERA, il costo medio annuo per famiglia ammonterà a 5700 euro (da suddividersi in 2242 euro per la luce e 3461 per il gas): circa un quarto dei redditi familiari, quindi una spesa insostenibile per un gran numero di utenti.
Chi versa nelle condizioni più disperate, però, sono le imprese ad alto consumo energetico, con particolare riguardo dei comparti industriali, già molto provate dai rialzi dell’ultimo anno e dalla precedente crisi pandemica. Molti lavoratori di questo settore rischiano il posto.
I primi provvedimenti concreti tra i governi europei hanno consistito nel taglio del gas che, in Italia, è stato contenuto al 7%. Nel frattempo, la Germania, fino a pochi mesi fa principale partner energetico della Russia, punta a un rilancio del nucleare e dell’estrazione del carbone.
Se questo regime non dovesse rivelarsi sufficiente per garantire un’adeguata distribuzione energetica, la drammatica alternativa sarà tra il penalizzare le famiglie e il costringere le imprese all’austerity.
Per non lasciar morire di freddo la gente nelle loro case, si dovrà optare per il lockdown energetico, con la chiusura temporanea di molte imprese ed esercizi commerciali che, in molti casi sarà definitiva.
Da parte sua, la Francia sta puntando alla riduzione del consumo di gas e, nelle ore notturne, dell’illuminazione pubblica. Intanto i ministri delle attività produttive dell’Unione Europea si sono ritrovati concordi sul taglio del gas al 15%, con possibili eccezioni e deroghe a livello nazionale.
Altri soggetti associativi come Confesercenti prevedono un rincaro dell’energia pari al 120% per i prossimi dodici mesi. Le famiglie dovranno fronteggiare l’ostacolo a partire dal rientro dalle ferie, mentre le imprese vi sono già dentro fino al collo.
Confesercenti teme il rischio chiusura per oltre 90mila attività. L’auspicio è quindi a un aiuto governativo, in particolare a sostegno delle piccole imprese, a vantaggio delle quali – suggerisce Confesercenti – andrebbe esteso il credito d’imposta per l’energia elettrica.
Ancora più catastrofiche le stime di Confcommercio che prevede la chiusura di 120mila imprese e la perdita di 370mila posti di lavoro entro il primo semestre del 2023, se non si porrà rimedio ai rincari energetici.
Secondo Confcommercio, i settori più penalizzati sono il commercio al dettaglio, la grande distribuzione (che in un anno ha visto quintuplicate le bollette di luce e gas), la ristorazione e gli alberghi.
A breve-medio termine, il conto arriverà anche per i liberi professionisti, per le agenzie viaggi, per i centri sportivi e per il comparto dell’abbigliamento. Per i trasporti, persiste il caro carburanti (+30-35% dall’inizio della pandemia), che sta costringendo i mezzi a metano a fermarsi.
Davvero non c’è via d’uscita a questa spirale infernale? Si dice che, in particolare in Italia, lo scenario energetico attuale sia dovuto alle politiche poco lungimiranti degli ultimi anni. Ciò non toglie che, di fronte a numeri così clamorosi, è impossibile evitare di pensare a un piano prestabilito e a una gigantesca operazione speculativa.
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