Da Larnaca Lapithou, “Repubblica turca di Cipro Nord”, Yannakis scuote la testa, si passa una mano sul viso e poi tace. Osserva i muri coperti di scritte, le finestre sfondate, il pavimento coperto da tre centimetri di guano. Un piccione entra svolazzando dalla porta, si posa su un capitello diroccato.
Nell’antico villaggio di Karpasha è la signora Yannoula ad aprirci le porte della chiesa della Santa Croce. Lavora come sindaco del borgo, perché a settant’anni è la più giovane dei sei abitanti: dal 1974 custodisce gelosamente le chiavi della piccola cappella.
La struttura, ci spiega, è stata restaurata con i fondi comunitari, ma i soldi inviati da Bruxelles non bastano a salvare gli arredi. E così un incantevole crocifisso ligneo bizantino del XIII secolo languisce dimenticato dietro un cancello d’acciaio. Il valore delle icone antiche è inestimabile e i trafficanti di opere d’arte lo sanno bene.
Ogni tanto Yannoula viene a rispolverare la croce e le altre tavole, sperando che un giorno arrivi anche il denaro necessario a farle splendere di nuovo.
Anche a Mirthou il monastero di San Pantaleone è chiuso per restauri, dopo decenni di oblio. Sul campanile ancora svetta una croce di pietra distrutta per metà. La voce popolare vuole che per due volte il santo abbia scaraventato giù dalla torre i soldati turchi inviati ad abbatterla. Da quella volta, effettivamente, metà croce è rimasta intatta.
L’agiografia ha prodotto un buon numero di storie sui miracoli ottenuti da chi s’impegna a ricostruire le chiese in rovina. La cappella di Santa Maria, ad esempio, è stata riaperta su ordine del sindaco turco dopo che a una donna musulmana apparve in sogno la Vergine. Da cieca che era, la donna riacquistò la vista per intercessione della Madonna, che per contro riebbe la sua cappella restaurata e funzionante.
Non tutti i paesi, però, sono stati così fortunati. Nella piccola Larnaca Lapithou, ai piedi delle montagne che sovrastano la città di Girne, all’ombra dei cipressi giace un piccolo cimitero.
Fra i rovi e gli sterpi, le croci di marmo sono in terra, spezzate. Tutte recano date anteriori all’invasione turca. 1971, 1972, 1973… poi sono arrivate le truppe d’occupazione e lo scempio che ogni guerra porta con sé. Ma davvero non si capisce perché anche dopo quarant’anni ai pochi cristiani rimasti sia ancora vietato di ricoprire quelle lapidi scoperchiate. Perché non si possa accendere un lume e portare un fiore sulle ferite della memoria, ancora aperte nell’Europa del 2016.
Yannakis scuote ancora la testa, si passa una mano sul viso e tace di nuovo. Recita l’Ave Maria, ma la preghiera gli muore in gola. Nessuno vuole vendetta. Tutti però sognano la pace, per i vivi e per i morti.