Se Cristo è venuto a salvare il mondo, non ci si può salvare in altro modo, se non per suo mezzo.
Non basta mai che la Chiesa lo ribadisca: “Solo in Cristo c’è salvezza. Attenti alle nuove eresie”.
Una lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede, indirizzata ai Vescovi (firmata dal Prefetto del Dicastero, l’Arcivescovo Luis F. Ladaria, e dal Segretario, l’Arcivescovo Giacomo Morandi, nonché approvata dal Santo Padre) ne ha fatto il tema centrale, per parlare ancora del progetto di salvezza del Signore, a cui tutti siamo stati chiamati; a cui giungiamo, però, non tanto per i nostri meriti, quanto proprio per grazia divina, qualora rimanessimo nella fede.
La lettera si intitola “Placuit Deo” e si ispira al passo della Lettera agli Efesini di San Paolo: “In lui, mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe, secondo la ricchezza della sua grazia. Egli l’ha riversata in abbondanza su di noi con ogni sapienza e intelligenza, facendoci conoscere il mistero della sua volontà”.
Cristo, dunque, “corrisponde più ad un modello che ispira azioni generose, con le sue parole e i suoi gesti, che non a Colui che trasforma la condizione umana, incorporandoci in una nuova esistenza riconciliata con il Padre e tra noi mediante lo Spirito”.
Il pericolo per i prelati, come per tutti coloro che si dicono cristiani, è ritenere di poter compiere un “sano dovere”, senza passare per Cristo: “una forte convinzione personale, oppure un intenso sentimento, di essere uniti a Dio, ma senza assumere, guarire e rinnovare le nostre relazioni con gli altri e con il mondo creato”.
Ciò, effettivamente, crea quella errata convinzione di poter salvare se stessi, senza l’intervento necessario del Padre eterno e anche senza portare con se gli altri, dimenticando che siamo un sol Corpo, un sol Spirito e abbiamo un solo Signore, così una sola fede ci accomunerà -parafrasando un noto canto.
Le nuove tendenze spirituali (non certo nuove, ma rinnovate), che anelano a ritrovare se stessi, al di la del Creatore stesso o nell’immersione con la natura, in quanto forza generatrice, sono decisamente fuorvianti e portano l’uomo lontanissimo dalla sua vera meta.
Così, l’umanità si inganna, credendo di poter esistere al di la del Corpo mistico, che è la Chiesa e che unisce tutta l’umanità salvabile.
La lettera su citata parla, infatti, dell’importanza della nostra unione con Cristo, che essendosi incarnato (da Dio in un uomo), avendo vissuto ed essendo morto e risorto per noi tutti “non si è limitato a mostrarci la via per incontrare Dio, una via che potremmo poi percorrere per conto nostro, obbedendo alle sue parole e imitando il suo esempio. Cristo, piuttosto, per aprirci la porta della liberazione, è diventato Egli stesso la via: “Io sono la via”. “Cristo è Salvatore in quanto ha assunto la nostra umanità integrale e ha vissuto una vita umana piena, in comunione con il Padre e con i fratelli”.
Ed è questa comunione coi fratelli che dobbiamo perseguire per formare la Chiesa: “comunità di coloro che, essendo stati incorporati al nuovo ordine di relazioni inaugurato da Cristo, possono ricevere la pienezza dello Spirito di Cristo”, per operare nel mondo e attuare la salvezza che “sarà compiuta solo quando, dopo aver vinto l’ultimo nemico, la morte, parteciperemo compiutamente alla gloria di Gesù risorto, che porterà a pienezza la nostra relazione con Dio, con i fratelli e con tutto il creato. La salvezza integrale, dell’anima e del corpo, è il destino finale al quale Dio chiama tutti gli uomini”.
Antonella Sanicanti
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