Gli ospedali sono quasi al collasso per il numero di pazienti Covid ricoverati, ma arriva una notizia che dà speranza sulle cure alternative.
“Gli antinfiammatori prima del tampone e solo il 2 % finisce in ospedale”. La conferma di una possibile cura domiciliare per chi è affetto da Covid. Questo ci dà speranza verso un protocollo che, già negli scorsi mesi, era stato sperimentato.
Ridurre i ricoveri Covid può essere possibile, attraverso una cura di carattere domiciliare. A novembre, l’Istituto “Mario Negri” aveva messo a punto un protocollo per curare coloro che erano affetti da Covid: all’insorgere dei primi sintomi si cominciava subito una terapia.
Il tutto, senza aspettare i lunghi tempi per l’esito del tampone, cercando di fermare la proliferazione del virus nei primi 7 – 10 giorni.
Aspirina e Aulin in caso di dolori erano suggeriti, lasciando da parte gli antinfiammatori. Ma, nei casi più seri, sotto la guida del medico, si arrivava all’utilizzo del cortisone. Questo metodo era stato utilizzato da 30 medici di famiglia su 500 pazienti. Una proposta di terapia, messa a punto da Fredy Suter, per anni primario del reparto di malattie infettive dell’ospedale di Bergamo, e coordinata dall’istituto di ricerca diretto da Giuseppe Remuzzi.
Allora mancavano i dati che confermassero l’efficacia di questa terapia. Finalmente, ora, quei dati ci sono. E’ uno studio in fase di pubblicazione “che mette a confronto l’esito clinico di novanta pazienti colpiti da Covid e trattati all’esordio a domicilio con il nuovo protocollo senza aspettare il risultato del tampone nasofaringeo, con quello di altri novanta pazienti Covid comparabile per età, sesso e comorbilità trattati con diversi regimi terapeutici” – scrive il Corriere.
Una possibile cura che permetterebbe di vedere i tempi di guarigione dai sintomi (sia dalla febbre che dai dolori articolari) essere uguali in entrambi i gruppi di pazienti osservati. Su questi 90 pazienti, è visto come i sintomi lievi da Covid, quali la perdita di olfatto e l’affaticamento, durano di meno con questa terapia (23% a discapito del 73% di prima).
Quello che conforta e fa ben sperare è che solo 2 pazienti sui 90 scelti per esser curati con la terapia, sono stati, comunque, ricoverati in ospedale, a differenza dei 13 dell’altro gruppo. “I giorni complessivi trascorsi in nosocomio crollano a 44 contro 481” – conferma, ancora, il quotidiano.
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Prevenire, dunque, i ricoveri già quando nei pazienti inizia a presentarsi la sindrome infiammatoria, evitando così ricoveri che intaserebbero gli ospedali italiani. Dall’altro lato, inoltre, il pieno coinvolgimento dei medici di famiglia, che aiutando così i pazienti, evitando loro di rivolgersi direttamente al pronto soccorso.
Fonte. corriere
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ROSALIA GIGLIANO
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