Tutti gli omosessuali hanno diritto alla libertà di parola. Anche di poter dire cose che apparentemente sono scomode.
In primo luogo, giuristi. Ma anche religiosi e giornalisti. La testimonianza che però ha fatto la differenza è stata quella di un insegnante con “attrazione omosessuale”.
Il giro di audizioni di oggi pomeriggio sul ddl Zan si è concluso con l’intervento di Giorgio Ponte. Divenuto noto alcuni anni fa come scrittore ma, soprattutto, per la sua storia personale, Ponte si è esposto in prima persona, prima sul ddl Scalfarotto, poi sulle unioni civili e, oggi, nuovamente sul ddl contro l’omotransfobia.
Il punto di vista di Ponte nasce da una ricerca di senso sulla propria vita, che va di pari passo con una ricerca della propria libertà. In virtù della sua attrazione omosessuale, ha spiegato, “in linea teorica dovrei essere tutelato” dalla nuova legge.
L’aspetto paradossale è però l’accusa di omofobia che grava su di lui, per non essersi allineato al pensiero dominante di marca lgbt. Per la libertà che si è preso nel dire ciò che pensava, Giorgio Ponte è stato persino minacciato e ricattato.
Eppure, la sua posizione non è affatto isolata. Avere un’attrazione omosessuale e rigettare il ddl Zan, ha ribadito Ponte, “non è idiosincrasia con me stesso”. Al contrario, vi sono tantissimi “fratelli e sorelle omosessuali che riconoscono la dimensione dell’essere umano nel maschile-femminile”.
Giorgio Ponte e tanti altri con un vissuto simile ritengono l’omogenitorialità come qualcosa di logicamente insostenibile e ritengono che gli omosessuali e i transessuali non vadano “separati dal resto della società” come fossero “qualcosa da proteggere”.
Questo parlare fuori dal coro nasce da molto lontano. Da bambino e da ragazzo, Ponte è cresciuto in un ambiente a prevalenza femminile. Non per colpa loro, il padre e i fratelli non erano stati particolarmente presenti durante la sua infanzia, cosicché al bambino era particolarmente mancata una figura paterna.
Sentendosi lontano dalla sensibilità media dei suoi coetanei, il piccolo Giorgio era venuto su con molte insicurezze. Per molto tempo aveva cercato consolazione nel cibo. “Ero obeso, portavo l’apparecchio, insomma le avevo tutte…”, ha raccontato. Sperimentati l’“isolamento” e la “prevaricazione”, nella preadolescenza, Giorgio è stato “bullizzato” e persino “abusato” da uomini più grandi, che si erano approfittati della sua ricerca di una figura paterna.
Nei suoi inevitabili disagi giovanili, però, Ponte ha trovato una seconda famiglia nella Chiesa Cattolica, che, in primo luogo lo ha fatto sentire amato, dando, però, anche la giusta dimensione al suo desiderio di rivalsa.
“Ho avuto la fortuna di essere tirato fuori dal mio vittimismo – ha detto durante l’audizione al Senato –. Prima ritenevo che tutto il mondo dovesse essere ai miei piedi” ma poi “qualcuno ebbe la straordinaria idea di farmi vedere che il mio dolore non doveva mettermi contro il dolore degli altri”.
Grazie al suo cammino di fede, Giorgio Ponte si è sentito restituito alla sua “identità di uomo” e si è reso conto che il suo desiderio di rivalsa rischiava di trasformarsi in un “desiderio di vendetta”.
Il ddl Zan non è ancora legge e Ponte già viene accusato dagli attivisti lgbt di essere un “omofobo interiorizzato”. Da anni, ormai, è in atto una “persecuzione mediatica” nei suoi confronti. Se il ddl dovesse essere approvato, si domanda, “quale giudice potrà discernere se sono omofobo e perseguibile?”.
Giorgio Ponte si batte contro il ddl Zan, perché anche un domani sia possibile raccontare una storia come la sua. “Perché se ognuno è libero di vivere come vuole – ha proseguito – raccontare di me stesso dovrebbe essere omofobo o discriminatorio?”. C’è persino chi lo ha minacciato: “Tutti possono parlare ma tu no”. Qualcun altro gli ha detto persino di suicidarsi o di tagliarsi le vene.
Da insegnante ed educatore, Ponte ha dichiarato: “I nostri figli hanno bisogno di punti di vista certi”. L’approvazione di un ddl contro l’omotransfobia “non aiuterà le persone omosessuali. Siamo sicuri – si è domandato – che creare uno status speciale ci renda giustizia?”.
Verso la conclusione del suo intervento, lo scrittore ha reso omaccio a due psicoterapeuti, entrambi scomparsi lo scorso anno, entrambi finiti sotto accusa dai rispettivi ordini professionali regionali. Gilberto Gobbi (1937-2020) e Giancarlo Ricci (1950-2020) hanno rischiato di essere sospesi dall’attività, per aver detto a chiare lettere che un bambino ha bisogno d’essere cresciuto da una madre e da un padre.
Con il ddl Zan, l’oppressione verso il libero pensiero sarebbe un rischio concretissimo. Al solo scopo si “salvaguardare i diritti di un piccolo gruppo che grida più degli altri”, si arriverebbe al “paradosso” di vedere “omosessuali che finiscono in carcere perché si dichiarano esseri umani”, ha quindi concluso Ponte.
Luca Marcolivio
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