Sono passati alla Camera i primi cinque articoli del Ddl Zan. Si tratta di un pericoloso passaggio, il rischio è quello di una deriva liberticida.
Il Ddl Zan, in totale di dieci articoli, introduce delle misure che sulla carta si pongono l’obiettivo di contrastare e discriminare la violenza per motivi di sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere (una definizione molto poco chiara anche dal punto di vista giuridico) e disabilità (quest’ultima spuntata all’improvviso negli ultimi giorni).
Sulla carta, perché nella pratica il rischio è quello di una deriva della libertà di espressione, di opinione e di manifestazione del proprio credo religioso. Con questa legge infatti si punta a criminalizzare chi sostiene che la famiglia è composta da una mamma e un papà. O chi afferma che un figlio abbia bisogno per la sua crescita di entrambe le figure genitoriali, maschile e femminile.
Di conseguenza, il rischio è che non si potranno leggere più in pubblico alcuni passaggi biblici come quello di San Paolo, che condannano apertamente le unioni omosessuali. Come ad esempio Romani 1,26-27 in cui è scritto: “Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami: le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni verso gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s’addiceva al loro traviamento”.
Oppure 1 Corinti 6,9-10: “Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il Regno di Dio“. Oltre a ciò, con il provvedimento si finanziano attività di mera propaganda Lgbt, a cui verranno destinati milioni di euro, come ad esempio educazioni di gender nelle scuole, fin dalle età più piccoli.
Con l’entrata in vigore della legge, se un genitore proverà ad opporsi a queste penose e indegne attività di indottrinamento, rischierà provvedimenti amministrativi e persino penali. Insomma, un contesto ben diverso da quello che viene propagandato dai fautori della legge, che descrivono il provvedimento come buona e volto alla tutale della libertà. Quando invece di fatto non sarà così.
Domani l’aula riprenderà la discussione degli emendamenti riguardanti le cosiddette “azioni positive”. Ovvero le azioni per proteggere le vittime di violenze e per “sensibilizzare” le pubbliche amministrazioni sul tema. La votazione finale della legge è prevista per martedì prossimo. A quel punto, il testo passerà al vaglio del Senato.
C’è bisogno quindi di preghiera affinché il provvedimento non diventi realtà. In quanto si tratterebbe di un grave rischio per le libertà personali di ciascuno. Come allo stesso tempo anche di una grave limitazione della libertà religiosa. La legge, peraltro, si trova ad impegnare le attività del Parlamento in un momento in cui l’Italia, con la crisi del Coronavirus, avrebbe ben altre cose di cui occuparsi e occupare le sue energie, e alla svelta.
La maggioranza ha tuttavia anche approvato un emendamento in cui si dice che “sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”.
Tuttavia, dal testo alla realtà c’è sempre molta distanza. Una volta che la legge è passata, infatti, le diverse applicazioni dei tribunali rischierebbero di poter comunque dare vita ad un contesto culturale in cui il sesso maschile e femminile verrebbero considerati due elementi quasi secondari e arbitrari, “culturali”, fluidi, dando vita all’incubo di quella cultura “liquida” da cui grandi studiosi hanno messo in guardia negli ultimi anni.
D’altronde a livello internazionale sono numerose le dimostrazioni di una cultura che sta andando alla deriva dal punto di vista etico, morale e valoriale. Lo dimostra di recente la dichiarazione della modella Emily Ratajkowski, che ha dato ai suoi follower su Instagram l’annuncio di essere in stato di gravidanza. Ma che allo stesso tempo non assegnerà alcun genere a suo figlio.
Una dichiarazione profondamente immorale che si inclina al cosidetto “gender-fluid” e che segue quella di numerosi altri attori dello star system hollywoodiano, da Brad Pitt a Celine Dion a via dicendo molti altri. La modella, diventata famosa per un video musicale in cui si mostrava in pose sexy e ammiccanti, come gran parte dei suoi scatti fotografici sui social, dice che la sua scelta “riguarda l’abilità di scegliere qualunque tipo di donna si voglia essere, di vivere la vita che vuoi, di vestirti come vuoi, che sia burka o bikini”.
Purtroppo, però, la scusa regge fino a un certo punto se si pensa che tutta la sua carriera di modella è costruita sull’ammiccamento sensuale da modella sexy al pubblico maschile che la osserva in tutte le posizioni. Si tratta, perciò, di un’affermazione quantomeno ipocrita, per chi vorrebbe combattere gli stereotipi e allo stesso tempo li esalta mercificando la propria immagine e il proprio corpo femminile. O ad esempio facendo da testimonial per la potente Planned Parenthood, che promuove aborto e utero in affitto.
Preghiamo perché l’umanità si svegli da questo sonno profondo e riconosca il valore delle diversità dei sessi, e la meraviglia dell’unione tra uomo e donna che rendono l’amore qualcosa che va oltre il materialismo e le ideologie umane, per puntare dritto all’infinito.
Giovanni Bernardi
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