La depressione, un male terribile che è folle pensare di affrontare da soli, senza alcun aiuto o supporto.
Chi meglio di chi ce l’ha fatta a a uscire da quel tunnel buio può aiutare a portare una piccola grande luce di speranza a chi cammina verso la guarigione?
Una mamma che ha vinto la depressione grazie a Dio e allo psichiatra, indica le cinque parole chiave che l’hanno guidata nel lungo percorso per uscire dal male che l’aveva aggredita.
Come vincere la propria depressione?
Non molto tempo fa abbiamo parlato di Clotilde Margottin, giornalista radiofonica, madre di famiglia, cattolica praticante. «Rendo grazie a Dio, perché siamo una famiglia normale… », scrive nel libro dove racconta il suo calvario. Sì, perché quella che all’apparenza è una semplice lode in realtà ha come background numerosi anni passati a lottare contro il male oscuro della depressione. Una battaglia che Clotilde ha vinto affidandosi a dei professionisti che hanno saputo curarla, grazie al supporto della famiglia (primo fra tutti quello del marito) e alla fede. Lei stessa ha raccontato di aver sentito l’abbraccio materno di Maria al momento di entrare nella clinica psichiatrica.
Oggi le cose vanno decisamente meglio per Clotilde. Guarita con l’aiuto di Dio e degli antidepressivi, ha attraversato il tunnel della depressione alla luce della fede. E adesso, vinta la lotta col Balrog della patologia psichiatrica, ha fornito attraverso il settimanale francese La Vie le cinque «parole chiave» che l’hanno aiutata ad affrontare la malattia in questi lunghi anni.
Le proponiamo anche ai lettori italiani. Eccole dunque.
5 preziosi consigli contro la depressione
1. Decolpevolizzare
«Forza, datti una mossa!» «Sei stanca? Lo siamo tutti» «La vita è difficile». Ecco quello che a volte si sente dire la persona caduta in depressione, cosa che fa crescere in lei il senso di colpevolezza. Questo sentimento incancrenisce, paralizzando la libertà d’azione. Ora, la depressione è una patologia oggettivabile. Dei trasmettitori difettosi annichiliscono la volontà. Il malato di depressione non ne è responsabile. È responsabile di ciò che ne fa.
2. Sdrammatizzare
Se devo passare per l’ospedalizzazione psichiatrica, se questo è il prezzo da pagare per essere in buona salute, la cosa non è così grave. Lì dentro non è che si incontrano dei folli in camicia di forza a ogni corridoio. In clinica sono stata accolta con una grande delicatezza, molte attenzioni e cure. Non c’è da vergognarsi a toccare i propri limiti. Permette di imparare a rispettarli per non oltrepassarli più in futuro.
3. Gettare l’orgoglio alle ortiche
Pensare di poter combattere da soli, essere in un solo colpo il dottore, la buona amica, lo psicologo non è soltanto un errore: è indubbiamente orgoglio. Dio ci ha voluto dipendenti dal suo amore e dagli altri per farci restare umili.
4. Circondarsi di buone compagnie
Cercare persone competenti e benevole vuol dire già aver fatto metà strada. Quando ho avuto il mio primo colloquio con lo psichiatra, pensavo di inquietarlo, specialmente nel raccontare il mio tentativo di suicidio. Risposta: «Per nulla. Se avessi solo pazienti come lei, sarebbe molto più facile». Sottolineava la mia volontà di uscirne. Così mi ha molto sollevato! Ero in buone mani.
5. Coltivare la speranza
Sono convinta che esserne uscita grazie a una comunità di preghiera – gruppi Notre-Dame [cenacoli di preghiera creati insieme al marito, Ndc], preghiere della mamme, dei vicini, comunione dei santi – ma anche grazie ai sacramenti. Soprattutto la confessione e il sacramento degli infermi mi hanno sorretta. E quando l’immagine del tunnel nero mi attanagliava, mi sforzavo di aggiungere una luce in fondo a quel tunnel. Un sentiero artificiale? No. Un atto di fede.