La storia di una fuga alla ricerca di una nuova vita, dall’Albania all’Italia. Questa è la storia di una giovane ragazza, arrivata nel nostro Paese.
Dhurata aveva solo 7 anni quando è scappata dall’Albania. Accolta dal nostro Paese, ha ricreato la sua nuova vita.
Aveva 7 anni quando è scappata dal suo Paese, nel pieno di un crollo finanziario. Dhurata è una giovane che, dall’Albania è arrivata nel nostro Paese per cercare di rifarsi una vita. Nel pieno degli anni 90, il suo Paese stava attraversando una delle più gravi crisi finanziarie mai viste e furono tantissimi gli albanesi che, stipati anche in navi molto piccole, attraversavano l’Adriatico e sbarcavano in Puglia e nelle altre Regioni affacciate sul mare.
“Mi chiamo Dhurata Gjinaj, ho 30 anni e vivo in Italia da 23 anni. Questo paese mi ha accolto, insieme alla mia famiglia, quando ero una bambina e qui ho studiato dalla seconda elementare all’università […] I giorni dell’infanzia li ricordo spensierati. Giocavamo immersi nella natura con gli altri bambini del villaggio e i miei nonni coltivavano la terra. Questo, almeno, finché non è scoppiata la rivolta” – racconta la giovane.
Una situazione politica difficile quella dell’Albania agli inizi degli anni 90: il crack finanziario, le politiche anarchiche, l’assalto delle caserme, i migliaia di profughi in fuga verso i Paesi più vicini. Questo è ciò che accadeva quando l’allora piccola Dhurata, insieme alla sua famiglia, scappava dal suo di Paese.
“Il post-comunismo è stata praticamente una guerra civile, una rivoluzione interna. In quel periodo la gente moriva di fame e quando è iniziata la rivolta le persone avevano dato l’assalto ai depositi di armi, ognuno cercava di sopravvivere prendendo anche con la forza quello che c’era” – continua Dhurata.
“Mia madre aveva paura a mandarmi a scuola, perché si vedevano ovunque ragazzini che sparavano con le armi. In tutto il paese regnava un caos generale e neppure i piccoli villaggi come quello dove vivevamo noi erano più sicuri”.
Sulla scia di una situazione terribile come questa, la decisione della famiglia di Dhurata di emigrare in Italia: “Un giorno a notte fonda siamo partiti tutti per Durazzo: papà, mamma, i miei fratelli di 9 e 5 anni e naturalmente io, che ne avevo 7. I miei genitori non avevano idea del viaggio che avremmo dovuto fare.
Sapevano soltanto che pagando gli scafisti in poco tempo saremmo stati dall’altra parte del mare. Non immaginavano la disumanità di queste persone, avevano solo il timore che la polizia italiana potesse rimandarci indietro” – continua.
Un viaggio atroce, in mano agli scafisti: era il mese di gennaio del 1998: “Quando siamo arrivati vicino alla costa la barca si è fermata e gli scafisti ci hanno ordinato di tuffarci in mare. Non volevano portarci a riva perché avevano paura di essere fermati. Mia madre e mio padre hanno protestato, non volevano tuffarsi.
Era gennaio, faceva freddo e nessuno di noi sapeva nuotare […] Quando siamo arrivati a riva bagnati e infreddoliti era soltanto l’inizio di un’altra avventura dolorosa. Quando abbiamo rivisto nostra madre era irriconoscibile: sporca di fango, bagnata, stravolta. E pensare che ci eravamo tutti vestiti a modo per il viaggio!” – continua, con parole strozzate, Dhurata.
La giovane continua, raccontando l’arrivo a Lecce e la paura di esser rimpatriati perché clandestini: “Ai miei genitori avevano detto che c’era una cittadina, Vitinia, vicino a Roma, dove non facevano grossi problemi e che c’erano già diversi albanesi. Noi non avevamo niente e quando siamo arrivati lì abbiamo trovato un posto in periferia dove c’erano diverse baracche abitate da immigrati. E noi, abbiamo trovato questa baracchetta e … ci siamo messi lì”.
Il trauma dei primi mesi in Italia, fino all’aiuto dato dalla Chiesa: “Andare a messa la domenica mattina e poi poter rimanere nei giardinetti dell’Oratorio erano momenti di straordinaria normalità. Nonostante l’Albania fosse un paese ateo per legge, noi eravamo stati battezzati di nascosto e così i miei genitori […]
Ormai sono italiana, anche se non ho ancora la cittadinanza, però i miei genitori hanno sempre fatto in modo che mantenessimo un legame con le nostre radici” – conclude Dhurata.
Oggi, dopo 23 anni, Dhurata ancora non ha ottenuto la cittadinanza italiana, nonostante abbia frequentato le nostre scuole e sia perfettamente integrata. Un viaggio stremante verso una nuova vita, una vita che, ancora oggi, molti altri migranti (come lo è stata lei tanti anni fa) cercano ancora nel nostro Paese.
Fonte: vaticannews.va
ROSALIA GIGLIANO
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