Incuteva un po’ di timore il titolo che si leggeva, negli anni ottanta, della nuova canzone di Francesco Guccini.
Il noto cantautore diceva: “Dio è morto” e spiegava il “perché”, il “dove”, il “quando” e il “come”, già alle prime strofe.
“Ho visto la gente della mia età andare via, lungo le strade che non portano mai a niente,
cercare il sogno che conduce alla pazzia, nella ricerca di qualcosa che non trovano, nel mondo che hanno già, dentro alle notti che dal vino son bagnate, lungo le strade da pastiglie trasformate, dentro le nuvole di fumo del mondo fatto di città, essere contro ad ingoiare la nostra stanca civiltà.
E un Dio che è morto. Ai bordi delle strade, Dio è morto. Nelle auto prese a rate, Dio è morto.
Nei miti dell’estate, Dio è morto.”.
E ad un’attenta lettura (o ad un piacevole ascolto) si comprende il senso anche del titolo: Dio muore nelle nostre indifferenze, nella speranza di chi è lasciato solo a disperarsi, nei giovani che in noi adulti non possono più scorgere un esempio da seguire.
Dio muore ogni volta che un padre di famiglia non riesce a dare da mangiare ai propri figli o che i genitori scoprono la morte prematura di uno di loro per un incidente, per un attentato, per mano di un amico traditore.
Dio muore in quelle circostanze, poiché viene meno il suo Mistero di amore e di salvezza, reso inutile nel suo sacrificio e nel suo donarsi estremo, nella lotta contro Satana.
Guccini prosegue:
“Mi han detto che questa mia generazione ormai non crede in ciò che spesso han mascherato con la fede, nei miti eterni della patria o dell’eroe, perché è venuto ormai il momento di negare tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudine e paura, una politica che è solo far carriera, il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto, l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto.
E un Dio che è morto. Nei campi di sterminio, Dio è morto. Coi miti della razza, Dio è morto.
Con gli odi di partito, Dio è morto.”.
Così quella che inizialmente poteva sembrare una negazione del divino, diviene un inno, una saggia e giusta protesta contro l’infamia della storia e dell’egoistico tornaconto di cui è vittima ogni singolo suo protagonista.
“Ma penso che questa mia generazione è preparata a un mondo nuovo e a una speranza appena nata, ad un futuro che ha già in mano, a una rivolta senza armi, perché noi tutti ormai sappiamo
che se Dio muore è per tre giorni e poi risorge.
In ciò che noi crediamo, Dio è risorto. In ciò che noi vogliamo, Dio è risorto. Nel mondo che faremo, Dio è risorto.”.
Ogni nostro dolore, dopo i tre giorni di morte, trova la via per ardire nuovamente alla vita.
Dio è risorto e il suo messaggio (stupendo poterlo pensare di chiunque, in ogni momento) attraversa le anime e giunge a noi, anche da fonti inaspettate, anche da coloro che mai ci saremmo aspettati parlassero di Dio e che certamente saranno avanti a noi, per la loro sensibilità e delicatezza, nel Regno dei cieli.