Tutti siamo a conoscenza della tripartizione classica dell’aldilà, per altro ben definita e strutturata in base alla descrizione poetica che ne ha fatto un nostro illustre artista come Dante. Ma se la visione medievale del mondo oltre la vita terrena e la stessa, in teoria, che veniva descritta dai primi predicatori della Chiesa, quale sarà quella odierna?
Un esempio di come un eternità tripartita venga oggi rifiutata dai fedeli ci è data da un lettore di ‘Aleteia’, questo pone il dilemma legato alla punizione eterna dell’inferno e chiede come sia possibile per quanto un uomo abbia peccato che le sue colpe siano da scontare in eterno. E poi afferma: non è forse vero che l’uomo è finito ed in quanto tale le sue colpe non possono considerarsi infinite?
Tale ragionamento ha un valore filosofico e teologico (di conseguenza) non banale, l’uomo pone un problema concreto sottoponendo la colpa dell’uomo non alla misericordia ma alla giustizia, allo stesso tempo sottintende che la visione di una dannazione eterna si basa su un idea di punizione tipica delle società medievali e pre medievali e che lo stesso modello punitivo è inapplicabile al giorno d’oggi.
La premessa del quesito, dunque, si fonda sulla sociologia soggiacente alla visione di dio e dell’aldilà che per forza di cose è filtrata dalla società che lo percepisce, la quale, evolvendosi, la concepisce in maniera diversa. A questa domanda risponde un professore di teologia, tale Gianni Cioli, questo analizza i punti di forza di questa argomentazione ma differisce da alcune conclusioni a cui il lettore vuole giungere e lo fa citando il lavoro di alcuni dei più grandi teologi della storia.
Importante per mettere il primo punto in chiaro il pensiero di Hans urs von Balthasar: “E’ necessario assumere una disposizione di grande umiltà e cautela derivante dalla consapevolezza di stare al di sotto del giudizio di Dio e non al di sopra di esso. È necessario inoltre tener conto delle delimitazioni invalicabili tracciate dal magistero della Chiesa che insegna l’esistenza dell’inferno e condanna la dottrina dell’Apocatastasi, ovvero della restituzione finale dell’intera creazione, inclusi i peccatori, i dannati e i demoni, a uno stato di beatitudine perfetta”. Con questa frase il teologo si interrogava sull’aldilà arrivando alla conclusione che un giudizio umano non potrebbe mai arrivare a comprendere le ragioni di un aldilà perfetto e che quindi, per quanto non consono all’idea di punizione sviluppata dal genere umano, non potrebbe giudicarlo.
Il teologo, quindi, respinge in parte l’ipotesi che l’idea dell’aldilà sia filtrata dal genere umano, con questo non vuole insinuare che non ci sia speranza per i peccatori di redimersi in tempo o che all’inferno si soffrano punizioni corporali tra zolfo e fiamme, ma che l’allontanamento da Dio manifestato in vita da questi, che presumibilmente hanno rifiutato la sua misericordia in vita, possa manifestarsi in eterno.
Quindi sebbene non ci sia una parte della Bibbia esplicita che descriva l’inferno per come ci è stato presentato da Dante, non si può escludere che la perdizione derivante da una vita lontana da Dio non si manifesti anche nella vita eterna. Il tutto è legato ovviamente al rapporto che il fedele ha con il Supremo, più questo è forte e più grande è il timore delle colpe e delle punizioni eterne. Per tal motivo, spiega il teologo prendendo spunto dal lavoro di Karl Rahner, la visione dell’inferno non può essere scissa dalla dottrina cattolica, non per imprimere il timore della dannazione eterna ma per spingere più persone alla salvezza tramite la conversione:
“ Una presa di posizione ’positiva o negativa su questo problema, la quale si collocasse fuori dal contesto di quest’appello alla conversione, contraddirebbe in partenza il senso dell’affermazione dell’inferno. Noi dobbiamo mantenere le enunciazioni sulla potenza dell’universale volontà salvifica di Dio, sulla redenzione di tutti per opera di Cristo, sul dovere di sperare la salvezza per tutti, e la proposizione sulla vera possibilità di una dannazione eterna, senza poter ordinare tra loro concretamente queste asserzioni”.
Il teologo tedesco non rinuncia alla visione dell’inferno ma la sottomette al principio di salvezza universale di cui Gesù Cristo è portatore, quindi si, la visione della dannazione eterna, per come immaginata secolarmente, si può escludere ma non la possibilità di un allontanamento eterno dalla luce che Dio rappresenta. Ancora una volta le parole di Rahner ci giungono in aiuto per chiarire meglio il punto: “Accanto alla chiara messa in risalto dell’inferno come possibilità di un indurimento permanente della coscienza, deve però esser presente in ugual misura l’esortazione ad abbandonarsi con piena speranza e fiducia all’infinita misericordia di Dio”.
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